domenica 22 novembre 2015

FAVOLANDO


FAVOLANDO                                                                                                                                                        



Interpreti (in ordine di apparizione):



- Fatina

- Mostro

- Io

- Guardiano

- Luce

- Voce

- Mente

- Corpo

- Anima

- Silenzio

- Grande Mistero

- Amor

- Dogmi

- Coscienza

- Consapevolezza



Fatina e Mostro si presentano subito, perché Io ho fretta di compiere la mia missione.

Chissà perché.

Loro avevano detto che mi avrebbero aiutata a camminare sul filo.

Io non avevo neanche tanto motivo di dubitare, visto che fino ad allora ne avevo viste delle belle!

Prima a correre come un forsennato leggiadro, con tutte quelle anime che tifavano per me dall’altra parte della transenna. Arrivo finalmente dal Guardiano della porta, e quello mi fa ripetere tutta la lezione, più volte… cosa andavo a fare, se ero sicuro di voler andare, il calendario, l'agenda e tutto il resto. Io, visto come avevo corso, eccerto! che volevo andare, anzi sarei già voluto essere nel Flusso dei neutrini! Allora via, il Guardiano provoca il vortice che turbina verso Il Luogo. E Io giù di tuffo!

Quando tutto si fa calmo, ecco che scende nell’unità buia in cui mi trovo una fiammella di Luce. Sì, è lei, è arrivata… allora quella storia era vera…

Non resta che rilassarsi, per un po’, giocando a “Numeri” mi addormento, cullati da quella missione che ci sta aspettando, una volta sbarcati a…



Voce: “Benvenuti a:

Progetto: Etherland

Stazione olografica: “Gaia”

Sistema: Solare

Pianeta: Terra

Longitudine: E 12° 6’ 34’’

Latitudine: N 42° 25’ 7’’

Local time: 13-02-1980 20:20 (UTC +1)

Temperatura esterna: 27°C

Vi auguriamo un sereno soggiorno!”…



Ventisette giorni in incubatrice mi insegnano a riconoscere i miei simili. A volte viene la mamma a volte altri. Quando viene la mamma sono contenta!



La Mente è molto sveglia fin da subito. Fin da subito mi sento speciale. Imparo presto.



Abito con la mamma e il nonno.

Fatina e Mostro sono sempre con me, ma ho dimenticato la storia del camminare sul filo. Parliamo delle cose che vediamo e di quelle che immaginiamo.

La scuola non ci piace tanto, primo perché ci si deve alzare presto e a noi piace stare nel letto caldo e morbido a sognare, soprattutto con i gatti. Secondo perché a scuola c’è la maestra, che a volte è un po’ cattiva e c’è il rischio di rimanere traumatizzati, e ci sono gli altri bambini, qualcuno pure lui cattivino, altri che sembra che un po’ dormano, altri completamente diversi da me, e anche qui c’è il rischio di rimanere traumatizzati. Comunque andare bene a scuola sembra faciliti un po’ le cose.



Una domenica a messa inizializzano il programma Dio e finalmente c’è un po’ più di spazio per tutti.

Con l’enigmatico rito della Comunione finisce il film Chiesa: peccato che l’hanno scritto tuttattaccato e senza accento.



Un giorno chiedo alla mamma il mio papà chi è, dov’è. E’ morto.

Interpello Fatina e Mostro.

Mostro ha timore di chiedere oltre e rimane in sospeso…

Fatina dice: “Non ti preoccupare, prima o poi lo saprai. Fidati!”.

Sorride sempre quando dice queste cose.

Li appoggio entrambi e aspetto.



Negli anni si fortificano Corpo e Mente, facendo tanti sport e viaggiando.



Gli ambiti certi sono: Anima, Famiglia, scuola/lavoro, l’altro sesso, i soldi, siamo una razza su un pianeta, c’è la fantasia. Gli amici e gli stronzi.

Secondo Fatina è possibile essere tutti amici.

Mostro, che ogni tanto lo stronzino lo fa, ha paura di dissolversi nell’oblio.



Dal nulla un bel giorno arriva il papà.

Fatina:“Evviva, te l’avevo detto!”

Finalmente! Ho sempre fiducia in te.

Mostro: “Vi ricordo che siamo negli anni novanta e che dobbiamo seguire certi schemi. Se non lo facciamo rischiamo il nulla”.



Un libro crea ulteriore spazio per tutti: Osho, “Tantra”.

Inizia la meditazione. Lo spazio di Silenzio. Vipassana.

Mostro e Fatina si possono sfogare ed esprimere, anche a Mostro inizia a piacere essere amici, mentre Mente si gode il viaggio dal sedile del passeggero.



Gli ambiti certi sono: Anima, Famiglia, Coppia, studio/lavoro, viaggiare, il futuro.



Gli schemi a volte li ho indossati, ma non sono il mio stile.



Un giorno bussa a sorpresa Grande Mistero.

Mentre gioco con Mente a “Supposizioni”, Mostro dice: “Ho paura di Mistero, non sono pronto”. Fatina: “Certo che sei pronto: abbiamo mangiato la foglia”.



Io rivesto il ruolo di detective in un romanzo giallo che finisce che ci ritroviamo tutti su un’isola tropicale e sarà stato il caldo a rimettere tutti i pezzi al loro posto: il cerchio si chiude.

Un piano più su.





Fatina e Mostro sono amici. Scendono dal treno a Valle Aurelia e leggendo Roma al contrario scoprono Amor. Visto che si trovano vicini al Vaticano, leggono anche Dogmi al contrario, e ridono come matti!!!



Avendo superato molte prove e imparato molte cose sugli umani, su cosa li muove, su dove e come interagiscono, possiamo investire energie nel benessere generale della vita a ogni livello.

Mentre Mente risolve l’equazione tra Coscienza e Consapevolezza.

Il tutto divertendoci alla luce del sole e danzando sotto la pioggia.



Morale della favola: evolvere è come il surf.

martedì 18 ottobre 2011

VERSO UN' ECOLOGIA DELLA COSCIENZA


VERSO UN’ ECOLOGIA DELLA COSCIENZA

L’arte dell’armonizzazione in una dimensione olografica



Lo spunto che mi ha portato a considerare il concetto di ecologia della coscienza mi è arrivato da una domanda di uno studente di counseling olistico: “Dove vanno le energie negative quando ce ne liberiamo? Arrivano a qualcun altro?”.
Questa acuta osservazione denota la consapevolezza di vivere in un mondo in cui siamo tutti collegati l’uno all’altro da quello che si potrebbe definire un denominatore comune che tutto sottende.
Questa funzione di comune denominatore può essere espletata dalla coscienza, intesa come campo di informazione in cui si riflette l’essenza di ogni individuo.

La coscienza di sé è un elemento da cui la relazione d’aiuto non può prescindere.
E’ paragonabile a uno schermo su cui possiamo proiettare un raggio di luce, che rappresenta la nostra consapevolezza: più riusciamo ad ampliare quest’ultima, più possiamo percepire la nostra vera essenza.
Il percorso di crescita personale, vòlto alla riscoperta di chi siamo, implica l’individuazione dei fattori che al momento presente ci impediscono una libera e completa espressione della nostra natura più autentica, delle nostre potenzialità latenti.

E’ come se ci trovassimo nel giardino della nostra esistenza: a un certo punto ci rendiamo conto di averlo trascurato e la vegetazione spontanea si è estesa intorno a ciò che vi avevamo piantato.
Questa gramigna che si è radicata nel nostro giardino è costituita da elementi che ora rallentano la nostra evoluzione.
Per coscienza ecologica intendo una coscienza pulita, libera da ridondanze e condizionamenti limitanti, un’attitudine gentilmente omnicomprensiva, che non rigetta niente a priori, ma che delicatamente va a esplorare i luoghi dove prendono forma le nostre idee e le nostre convinzioni.
Può darsi che il giardino sia ormai diventato un folto bosco in cui prosperano ortiche e rovi.
E’ giunto il momento di andare a vedere quali piante vi sono cresciute e di mettere in atto un processo di bonifica in cui sperimentare la nostra capacità di accogliere l’ignoto e di utilizzarlo come potenziale materia prima con cui plasmare nuove soluzioni di esistenza.
In quanto professionisti della relazione trasformativa, possiamo contribuire a bonificare il campo della coscienza attraverso la messa a punto di dinamiche che favoriscono l’armonizzazione della persona.
Il nostro raggio d’azione all’interno di questo processo va ben oltre le quotidiane esperienze negli incontri con i nostri interlocutori, se prendiamo in considerazione il punto di vista della scienza olografica, che ci ricorda di come siamo tutti connessi da campi energetici, il più delle volte invisibili agli occhi, ma condizionanti sul piano dell’espressione di sé.

L’applicazione della teoria olografica alla spiegazione della percezione della realtà spetta a due eminenti scienziati, il fisico David Bohm (Wilkes-Barre, Pennsylvania, USA, 20 dicembre 1917 – Londra, 27 ottobre 1992) e il neurofisiologo Karl Pribram (Vienna, 25 febbraio 1919), che nel secolo scorso, indipendentemente l’uno dall’altro e partendo da presupposti completamente diversi – l’uno dalle particelle subatomiche, l’altro dal cervello umano – hanno intuito e formulato.
Secondo tale teoria, nella più piccola particella esistente è rappresentata, in nuce, tutta l’esistenza dell’Universo, cioè l’intero è rappresentato in ogni più piccola sua parte.
In ogni cellula del nostro corpo è contenuto il nucleo con il suo DNA, in cui sono trascritte tutte le informazioni relative alla struttura, micro e macroscopica, dell’intero organismo: ogni cellula è così connessa intimamente alle altre cellule e alla globalità del nostro essere, nello stesso modo in cui un microcosmo riflette un macrocosmo.
Nella stessa relazione l’uomo (microcosmo) è unito, come ogni altro essere vivente, all’intero universo (macrocosmo).
Nell’era della coscienza, protagonista dell’evoluzione personale è in primo luogo la percezione di sé.
Dai silenziosi meandri della nostra atavica profondità risuonano gli echi ancestrali di una domanda di fondo: chi siamo?
Per scoprirlo conviene innanzitutto accertarsi della pulizia dei nostri filtri percettivi, che ci permettono di modificare la nostra interpretazione della realtà e di noi stessi.
Se, ad esempio, ci accade qualcosa di spiacevole, non possiamo cambiare l’evento, ma possiamo cambiare la prospettiva da cui lo vediamo, la nostra modalità di percezione, che è il filtro tra il vissuto e la coscienza.
Possiamo così armonizzare la nostra percezione di un evento, delle nostre proiezioni, dei nostri specchi, del modo in cui li abbiamo vissuti e da cui ancora a volte ci facciamo vivere.
La pulizia dei filtri percettivi corrisponde, nella metafora del giardino divenuto bosco, a una prima potatura: significa sfoltire il groviglio del fogliame e aprire un varco che permetta alla luce di raggiungere la terra, così che possiamo individuare i singoli tronchi, che hanno generato rami sempre più piccoli e insidiosi.
Gli elementi recisi possono essere trasformati da parassiti, succhiatori di forza vitale, in compost, nuova energia e fonte di nutrimento: in altre parole, la trasmutazione delle paure genera la saggezza necessaria per reinterpretare in maniera ecologica la rete delle nostre relazioni.

Quando sentiamo emergere pensieri, emozioni o sensazioni che producono un disturbo, a qualsiasi livello del nostro essere, chiediamoci se davvero vogliamo liberarcene.
Ci accorgeremo che è più vantaggioso adottare un atteggiamento profondamente accogliente e valutare l’opportunità di non rinunciare a un’occasione di conoscere qualcosa di nuovo, di entrare in contatto con ciò che in quel momento è presente, anche se ancora non sappiamo né cosa sia né in quale direzione si stia muovendo.
Per sciogliere le nostre resistenze, possiamo rivolgerci una serie di domande al fine di svelare le nostre verità più autentiche.
Cosa abbiamo da perdere?
Se non buttiamo via quell’energia, qual è la cosa peggiore che ci potrebbe capitare?
Ci potrebbe sopraffare? Già lo ha fatto.
Ci potrebbe condizionare? In che modo?
Ci potrebbe far star male? Già lo sta facendo.
Ci potrebbe bloccare? Può darsi che valga la pena fermarci per un attimo.
Ci potrebbe far perdere tempo? Che cosa rappresenta per noi il tempo?
Ci potrebbe uccidere? Quale parte di noi potrebbe uccidere?
Ci potrebbe annientare? Che cos’è il nulla?

Il processo di esplorazione e armonizzazione delle paure produce una gamma di riflessioni sulla coscienza tali da generare a loro volta armonia nella percezione.
In sostanza si tratta, da un lato, di scendere in profondità per portare alla luce ciò che è ancora allo stato grezzo, al fine di conferirgli una nota di bellezza, dall’ altro, di generare forme armoniose nei nostri spazi interiori, in modo che questi possano trasformarsi da misteriosi labirinti in stimolanti percorsi evolutivi.




“Esiste una spiaggia

dove convergono tendenze

all’assoluto

Libertà

Granelli di sabbia

come polvere di stelle

disegnano spirali

Dal vento trasportate

nelle onde penetrano

e illuminano gli abissi”








BIBLIOGRAFIA

 

- Serena Forgittoni,  Il counseling olistico oggi, Tesi di Master in counseling olistico, 2008.
- Michael Talbot, Tutto è uno. L’ipotesi della scienza olografica, Urra, Milano 1997.







lunedì 12 settembre 2011

CONCRETO O ASTRATTO ?


VERSO UN’ECOLOGIA DELLA COSCIENZA


Che cosa sono e come si possono riciclare le sostanze di scarto della nostra coscienza?

Ogni incontro di counseling è un’occasione per fare un passo in avanti nello sviluppo della percezione di chi siamo.

Durante un percorso di crescita personale, ci si accorge che evolvendo ci si libera da qualcosa: paure, condizionamenti, modelli di riferimento, abitudini di vita e di pensiero.

Di volta in volta si sostituiscono filtri percettivi non più attuali con dei nuovi, più attuabili.

Quando si raggiungono nuovi livelli di consapevolezza, le nostre certezze si riorganizzano, gli spazi di senso trovano una nuova dimensione, cambia l’assetto della nostra coscienza.

Quando diciamo: “Mi sono liberato di questo pensiero negativo”, quasi mai ci chiediamo dove sia andato a finire.

Se è vero che nulla si crea e nulla si distrugge, ma tutto si trasforma, una riflessione olisticamente autentica non può prescindere dall’indagare sugli elementi che sono stati protagonisti del processo di trasformazione dell’individuo e che a un certo punto escono di scena.

La concezione che abbiamo di noi stessi diventa un luogo di passaggio tra vecchio e nuovo; questa transizione lascia residui sottili che non sono più trascurabili, vista l’esigenza di una maturità nel modo di porsi in un mondo che sta transitando dall’era dell’informazione all’era della coscienza.

Se il primo passo da compiere verso la libertà è l’emancipazione, è molto utile avere chiara la visione di ciò da cui ci si emancipa, per poter beneficiare di un atteggiamento responsabile nei confronti di sé e degli altri.

Se riciclare è un’azione che possiamo fare in quanto abitanti di questo pianeta, armonizzare è una metamorfosi che possiamo sperimentare in quanto professionisti nella relazione trasformativa.





sabato 28 maggio 2011

Paradossalmente neanche troppo



Paradossalmente neanche troppo


Paradossalmente neanche troppo

la tensione volge a capo la visione

mi abituo alla distanza

in questo succedersi di cambiamenti

multi – dimensionali.

Ognuno ha i propri tempi…

Paradossalmente neanche troppo

prendo contatto

con i miei scritti.

Si fa scorgere traccia

di auto giudizio ma ora

non più traccia nascosta.


Ora niente che faccia ombra !

Live

la mia ombra

e la mia faccia…

Re  in  vento

In effetti non ci abbiamo mai creduto a tutto…


a tutto questo immane

ipnotico a me gli occhi

successione di autonomie

autosostentantesi  frammenti

iso-9000 iso-lati tanto fa lo stesso

egoismi sbi – lanciati contro resistenza

assenza di illusione

diffidenza schivo

passo tra i nemici costruzioni

proiezioni pericolosamente dilaganti poteri.

Solo, il mio sguardo rimbalza troppo presto sull’asfalto

scivoloso .

Meno male !

Paradossalmente neanche troppo

da sempre sappiamo tutto.

Come gli animali i vegetali i minerali i planetari.


Release

Modelli e parametri

veli

di Maya

programmi

di controllo dissipare paure dubbi

incertezze di concezione fideistica.

DESTRUTTURIAMO ! ! !

KAOS CREATIVO ! ! !

Con-fondiamo insieme le nostre risorse

nell’infinito della follia creazione primordiale

ispirazione alla comune azione!

Qui e ora

o chi e quando?

Paradossalmente ma non troppo

l’osservato osserva

l’osservatore è compresente,

comprende

e sente se

stesso come sé e come altro

Danzano insieme

in viaggio

tra centro e confine e oltre

oltre fittizie barriere sonore o dinamici labiritmi

oltre i giudizi oltre i simboli delle parole

condividendo il respiro che ci avvolge

il calore che scegliamo

di generare.

Cosa è cambiato ?

La realtà

creiamo

mi amo

ogni momento !



sabato 21 maggio 2011

TESI PER MASTER IN COUNSELING OLISTICO


I.B.A.

Istituto di Bremologia Applicata


SCUOLA DI SPECIALIZZAZIONE TRIENNALE

Master in counseling olistico

 
“ IL COUNSELING OLISTICO OGGI “




Relatrice                                                                                           Correlatore
Dottoressa Serena Forgittoni                                    Professor Adriano Bugliani


Direttore didattico

Dottor Valerio Sgalambro



Firenze, 21 Dicembre 2008





IL COUNSELING OLISTICO OGGI



“ Ricordate che vivete un momento eccezionale

in un’epoca senza eguali …

che avete questo grande privilegio inestimabile …

...l’essere presenti alla nascita di un nuovo mondo “



La Madre, Aurobindo Ashram

  

INTRODUZIONE

Se incontri il Buddha per la strada, uccidilo.

Uccidere il Buddha quando lo si incontra significa superare il mito del maestro, il mito del guru, il mito dello psicoterapeuta. Significa rinunciare al ruolo di discepolo e distruggere la speranza che qualcuno all’infuori di noi possa essere il nostro padrone “.
Così Sheldon Bernard Kopp, insegnante di psicoterapia e scrittore, interpreta questo antico koan giapponese.
Nessuno all’infuori di noi può essere il nostro padrone né, aggiungerei,  il nostro salvatore.
Da sempre l’uomo va alla ricerca di qualcosa: dell’armonia, della pace, della felicità, dell’amore, dell’immortalità, della salvezza, dell’illuminazione, della conoscenza… o, quantomeno, di un senso da attribuire alla sua vita su questo pianeta.
In questa ricerca, tuttavia, spesso si è confuso il fine, la conoscenza, con il mezzo, l’apprendimento con le relative tecniche.
Molti uomini hanno finito con il concentrarsi sull’apprendere qualcosa da qualcun altro, attribuendo a quest’ultima figura il ruolo di insegnante, maestro, guida spirituale, ritrovandosi, poi, colmi di nozioni teoriche, le quali, pur essendo estremamente interessanti ed affascinanti, poco potevano aiutarli nei momenti di sconforto.
E’ andata, così, costituendosi una gerarchia che vedeva il discepolo, situato ad un livello inferiore rispetto al maestro, considerare i suoi insegnamenti come regole assolute ed universali.
Anche noi da bambini avevamo bisogno di figure di riferimento che ci aiutassero a comprendere il mondo che avevamo intorno e dentro di noi: i nostri genitori, i nonni, gli insegnanti, o altri personaggi.
Ma, quando arriva il momento, il bambino diventa adulto e si trova a dover rispondere da sé ai quesiti e alle situazioni che la vita gli propone.
Ecco che si rende necessario che egli stesso diventi regista della propria vita.
Si tratta di un cambiamento del nostro punto di vista rispetto alla realtà: crescendo, ci rendiamo conto che cercare le risposte nel mondo esterno è utile, ma non basta.

Ci sono territori sconfinati da esplorare dentro di noi, nel nostro mondo interiore.
Uccidere il Buddha vuol dire smantellare la nostra convinzione di poter trovare tutte le risposte nel mondo materiale esterno, per iniziare a volgersi finalmente verso la propria interiorità, non per uniformarla a un Buddha immaginario, perfetto, esterno e diverso da noi, ma per conoscerla così com'è, senza volerla a ogni costo modificare, creando, così, uno spazio in cui il cambiamento di prospettiva diviene possibile e realizzabile, oltre che auspicabile.
Nel momento in cui vogliamo intraprendere un viaggio nel nostro mondo interiore, ci troviamo all’ingresso di un labirinto, costituito da strade nuove, mai percorse in precedenza, un groviglio di sentieri misteriosi.
All’interno di esso può succedere di ritrovarci in un vicolo cieco, senza sapere come ci siamo arrivati: il fatto di vedere davanti a noi un muro insuperabile può provocarci una certa inquietudine.
E’ a questo punto che nasce in noi il bisogno di chiedere aiuto.
“ Ciò che induce una persona a chiedere aiuto è la percezione, più o meno chiara, di uno stato di crisi e, al tempo stesso, della propria incapacità di porvi rimedio basandosi esclusivamente sui propri mezzi “ [1].
In realtà, quando ci rivolgiamo a qualcuno non abbiamo garanzie di soluzione. Possiamo avere aspettative, ma queste sono soltanto illusioni di garanzie.
L’aspettativa è uno di quei casi in cui il pensiero si proietta nel futuro, o, comunque, in qualcosa di “altro” da noi, con il desiderio di creare una boa di salvataggio cui potersi appigliare in caso di naufragio.
Dice un artista del nostro secolo: “ No one but ourselves can free our mind “ [2].

Gli unici che possono liberare la nostra mente siamo noi stessi… che è un po’ come uccidere il Buddha.
Chi, in fondo, ci conosce meglio di noi stessi?


1. IL COUNSELOR


1.1 Dalla psicoterapia al counseling

Psicologi e psicoterapeuti si occupano di psicopatologie, ovvero di tutti quei disturbi della mente che si manifestano senza che il cervello presenti una disfunzione fisiologica.

Il dizionario italiano alla parola ‘patologia’ riporta: “insieme di condizioni anomale nel funzionamento di un organismo“.

Se lo psicoterapeuta condivide questo presupposto, deve anche ritenere che davanti a sé, cioè dall’altra parte della scrivania, si trovi un individuo in un certo senso anomalo: questa parola, dal greco, significa, letteralmente, non – uguale...

Il passaggio da anomalo ad anormale, cioè non conforme alla norma, è tanto breve quanto problematico, in quanto il concetto di ‘normalità’ non sempre è condiviso da tutti...

Di solito una persona si rivolge a uno di questi professionisti perché avverte un disagio: può sentirsi sotto pressione, in ansia; può oscillare repentinamente tra uno stato emotivo e un altro, senza riuscire a mantenere il controllo delle proprie emozioni e reazioni; può soffrire di insonnia o avere un rapporto compulsivo nei confronti del cibo; spesso è colto dai cosiddetti attacchi di panico, oppure non riesce a sganciarsi da determinate fobie che lo perseguitano da anni; sempre più spesso il disagio riguarda la sessualità e il rapporto con il partner, o con il denaro; personalmente, mi è capitato di conoscere una donna che non riusciva a smettere di canticchiare durante l’intera giornata...

Figli che odiano i genitori, genitori invidiosi dei propri figli, madri iper-protettive e padri assenti o violenti; sentimenti di astio e vendetta; gelosie senza fondamento; manie di persecuzione; fissazioni riguardo alla pulizia; abitudini compulsive... e chi più ne ha più ne metta.

I soggetti che si rivolgono a questa categoria di professionisti vengono definiti ‘pazienti’.

Il paziente, per definizione, patisce, cioè subisce qualcosa contro la propria volontà, una forza che non sa riconoscere perché agisce dal profondo del suo inconscio: ciò gli procura molta frustrazione, ansia e inquietudine.

Patire e compatire sono due azioni strettamente collegate tra loro: se il terapeuta compatisce il paziente, che già patisce per se stesso, allora la via per uscire dal tunnel si allunga, e si allunga con essa il percorso terapeutico. Non è raro, infatti, che una persona segua una psicoterapia per anni, senza riuscire a individuare, a penetrare e intaccare il nocciolo del proprio malessere.

Nel concetto di com-passione, cioè patire con l’altro, insieme all’altro, è sottintesa una certa giustificazione della sofferenza stessa.

Più che di compassione c’è bisogno di comprensione.

Se il terapeuta dimostra di condividere il disagio del suo paziente, è come se, in qualche modo, contribuisse ad alimentarlo, seppur inconsciamente; alimentando la causa del disagio, questo viene a configurarsi come un qualcosa che si espande, apparendo così al paziente molto più grande di ciò che realmente è: di conseguenza egli si sentirà ‘piccolo e nero’, e tanto impossibilitato quanto incapace di uscire dal suo tunnel.

Non bisogna trascurare il fatto che spesso alcune persone si crogiolano all’interno dei propri problemi e non hanno la minima intenzione di abbandonarli, perché ciò comporterebbe una rivisitazione completa della loro vita e dei valori su cui essa si fonda.

In molti casi, quando una terapia si protrae nel tempo senza ottenere risultati tangibili, è possibile che si sia instaurato un legame di dipendenza del paziente dal terapeuta o, circostanza ancora più grave, viceversa.

Il fatto che la terapia si protragga così a lungo, senza che il paziente riesca ad uscire dai propri vincoli, dimostra che non conta tanto la quantità di tempo impiegata negli incontri, bensì la qualità dell’incontro stesso, la qualità dell’ascolto: ecco perché si dà tanta importanza alla cosiddetta ‘empatia’.

Proprio questo ruolo che lo psicoterapeuta, occupandosi di patologie, ricopre, presuppone un percorso formativo diverso da quello che conduce alla professione di counselor.

Lo psicoterapeuta percorre la strada della formazione accademica e nozionistica, perché lavora su patologie ben identificate, schedate, inserite in apposite griglie, non sempre facili da interpretare: deve studiare le teorie, gli schemi e i protocolli cui poter, in seguito, fare riferimento; deve imparare a utilizzare una nomenclatura costruita dai suoi predecessori che hanno impiegato un’infinità di tempo a de-finire i tratti comportamentali degli esseri umani: in pratica finisce per doversi districare in una giungla di modelli e paradigmi.

Il counselor, invece di occuparsi di patologie, focalizza la sua attenzione sulla parte sana della persona; si occupa, fondamentalmente, della sua Salute Globale.


1.2 La formazione del counselor olistico

Tre anni sono passati da quando per la prima volta ho varcato la soglia dell’Istituto di Bremologia Applicata...

Stavo vivendo un momento particolare della mia vita: apparentemente avevo tutto ciò che può essere importante per una ragazza di venticinque anni – salute, tranquillità economica, affetti in famiglia, un legame sentimentale, amicizie, buoni risultati negli studi universitari –, ma, in realtà, tutto ciò non mi bastava per sentirmi completa; avvertivo che mancava nella mia vita qualcosa di essenziale, che desse un senso più profondo alla mia esistenza su questo pianeta e alle relazioni umane che avevo con le persone intorno a me.

Un giorno, all’improvviso, questa strana parola – bremologia –, il cui significato era per me del tutto enigmatico e misterioso, ha risuonato dentro il mio essere in modo particolare, anche se non ancora ben definito: è stato come ricordare la certezza di una constatazione, la sensazione chiara che il mondo che mi circondava non fosse l’unico mondo possibile.

Così sono partita alla scoperta di nuove realtà.

Presentivo che sarebbe stata un’esperienza diversa da quelle che avevo fino ad allora sperimentato: i soliti corsi in cui viene richiesto di ripetere a memoria freddi concetti presunti fondamentali e imprescindibili, professori che, invece di pensare alle nozioni che propongono e al modo in cui le presentano, dis-pensano dispense aride e standardizzate, riproponendole, copie in serie, sempre uguali ad ogni inizio di anno accademico, se non, addirittura, per tutta la loro vita; compagni distanti, gelosi dei propri appunti e delle proprie verità, mossi da un apparente interesse, che poi si rivela finalizzato al mero conseguimento di un bel voto all’esame, come se accumulando bei voti si potessero colmare brutti vuoti.

Qualche anno prima, nel bel mezzo della tempesta adolescenziale, avevo avuto occasione di entrare in contatto con il mondo della psicoterapia tradizionale, incontrando uno psichiatra prima e una psicologa poi.

I colloqui con questi personaggi sono sempre stati deludenti: al pari delle dispense dei professori universitari, anche le domande che mi rivolgevano i sedicenti esperti della psiche erano standard, piatte e fredde, le loro voci, conformi ai dettami di un’etica professionale non originale, incolori, lontane dal cuore e dai sentimenti, e vicine solo ai loro parametri di riferimento e giudizio, ormai rigidi  e cristallizzati.

La sensazione che avevo parlando con loro era tutt’altro che confortante: mi sentivo giudicata e in qualche modo in torto, come se il mio comportamento e i miei pensieri non fossero “giusti”.

Ben presto abbandonai la via della psicoterapia tradizionale e indirizzai le mie ricerche verso altri campi, stimolata da letture che mi hanno avvicinato alla visione orientale del mondo.

Da quel momento in poi le coincidenze mi hanno portato ad incontrare persone “diverse” dal solito, che mi hanno indirizzato a quelle che oggi sono definite discipline olistiche: meditazioni, hata yoga, karma yoga, rappresentazioni di psicodrammi, regressioni, incontri sciamanici, bioenergetica, reiki, agopuntura, medicina ayurvedica, fiori di Bach, ecc....

Ero consapevole di essere alla ricerca di qualcosa, anche se ancora non sapevo bene cosa.

In realtà cercavo l’origine e la direzione del mio movimento creativo, la spinta del mio quantum leap, il salto quantico, quello sviluppo di coscienza di quanti ancora non si accontentano, di quanti, dalla bambagia ovattante di questa matrice interpretativa, si stanno scavando un varco, di quanti sanno che l’umano essere è sempre in continuo, anche caotico, movimento.

E’ a questo punto che il “caso” mi ha fatto incontrare la bremologia, e questa mi ha ricordato che “caso” e “caos” non sono altro che due anagrammi...

Il programma didattico dell’I.B.A. mi è sembrato un buon inizio, perché prevedeva un approccio a tante materie diverse che miravano, comunque, all’armonizzazione dei vari aspetti dell’essere umano.

Ora mi rendo conto della differenza tra le pratiche olistiche che fino ad allora avevo sperimentato e la conoscenza acquisita in questi ultimi tre anni di studio e di continue verifiche: invece di imparare che cos’è l’olismo o pensare a cosa esso sia, ho imparato a vivere, sentire e pensare in maniera olistica.

Credo che sia anche grazie a questo percorso formativo se ho potuto verificare benefici effetti sul mio corpo, come, ad esempio, il miglioramento della vista: alla fine di questi tre anni la mia miopia è passata da 2,5 gradi a 1,5.

Forse il mio corpo mi sta dicendo che sto iniziando a “vederci più chiaro”...

In questa nuova ottica, ho iniziato a mettere in atto una riprogrammazione globale delle mie “credenze” personali, volta alla presa di coscienza dei comportamenti umani, a tutti i livelli.

Ci sono pensieri più o meno frequenti che popolano la nostra mente, come ci sono abitudini nella nostra routine quotidiana.

Tutti, credo, almeno una volta nella vita, abbiamo avuto occasione di constatare la presenza di un qualche automatismo nei nostri comportamenti: cambiamo la disposizione dei mobili di una stanza e notiamo che, soprattutto i primi giorni, continuiamo a cercare un oggetto nel posto in cui eravamo abituati a vederlo dove è stato per tanto tempo.

Credo che gli automatismi esistono sia sul piano del comportamento-azione, sia su quello del pensiero: questi ultimi tendono a restare celati più a lungo alla consapevolezza, rispetto ai primi, in quanto le loro conseguenze sono più sottili.

Importante è saperli riconoscere, poi pian piano si impara a farci amicizia, e ci si accorge di essi al loro primo apparire.

Personalmente, ogni volta che mi accorgo che un automatismo è in atto, innanzitutto cerco di viverlo con coscienza, senza contrastarlo o negarlo – altrimenti non avrei neanche la possibilità di vederlo –, restando  il più possibile in contatto con le mie sensazioni, presente a me stessa, osservando senza giudicare.

Questa osservazione priva di giudizio è un processo molto difficile da attuare. Infatti, appena nasce un giudizio, questo mette in moto una catena di pensieri che, a loro volta, ci distraggono dall’auto – osservazione, perché vorrebbero essere seguiti nei loro labirintici percorsi…

A volte viene consigliata la meditazione come allenamento per stare centrati sulle proprie sensazioni del momento: credo che sia un’ottima palestra, ma non è da consigliare a tutti, né sempre utile o adeguata a qualsiasi contesto.

Può succedere che lanciandosi nell’azione istintivamente, si ottengano risultati equiparabili a ventiquattro ore di meditazione nel silenzio e nell’immobilità…

Tornando agli automatismi, credo che, facendo comunque parte di noi, non vadano etichettati come negativi; anzi, riproponendosi di tanto in tanto, ci offrono un’ulteriore chance, così che noi possiamo provare e riprovare infinite volte, fino ad essere soddisfatti del risultato ottenuto.

Di chance ce ne sono state molte e diverse... all’IBA...

Il “primo giorno di scuola” mi sono trovata in una grande stanza insieme ad altre persone che, come me, apparivano curiose e spaesate, pur essendo aperte all’ ignoto.

Eravamo tutti, compreso il docente, scalzi, seduti in terra, disposti a cerchio, in modo da poterci vedere tutti reciprocamente.

Già solo questa sistemazione e questo “nuovo”, ma anche antico e forse ancestrale, modo di rapportarsi allo spazio, lungi dai tradizionali schemi scolastici e universitari, ha esaudito, in qualche modo, le mie aspettative, e mi sono sentita, in un certo senso, come a casa.

L’ambiente intorno a me si configurava amichevole e aperto ad accogliere qualunque nuova dinamica si presentasse: sensazione, questa, che ha rappresentato il denominatore comune di tutti gli incontri successivi.

Secondo Carl Rogers, “i programmi per la formazione dei counselor si devono basare essenzialmente su esperienze che formano all’essere ‘persona’.

(...) E sarà possibile farlo solo attraverso l’esperienza, cioè immergendoli nello stesso clima di relazione – il clima necessario al cambiamento – che sono lì per apprendere” [3].

E’ proprio così che si è svolto questo intenso percorso formativo.

Da quel momento ho potuto constatare che molte cose sono cambiate nel mio modo di orientarmi nella vita, a cominciare Tornando agli automatismi, credo che, facendo comunque parte di noi, non vadano etichettati come negativi; anzi, riproponendosi di tanto in tanto, ci offrono un’ulteriore chance, così che noi possiamo provare e riprovare infinite volte, fino ad essere soddisfatti del risultato ottenuto.

Le parole non sono mai vuote, ma dense di significati non più reconditi ed inaccessibili; così scopro, ad esempio, che forse non è un caso se diciamo “orientare” e non “occidentare"...

Ecco dove la bremologia conduce: finisce addirittura per farti riflettere sulle analogie grammaticali, ortografiche, di senso, o non-senso; e dove la bremologia finisce qualcos’altro comincia. Cosa, quando e come questo qualcos’altro comincia lo decidiamo noi. E forse lo abbiamo già deciso.

Io l’ho certamente deciso nel momento stesso in cui ho iniziato a pormi delle domande, a voler “trovare un senso alla mia esistenza”; interrogativo che mi sono posta fin da piccolissima, quando già sentivo una tensione verso la conoscenza, di me, delle leggi della natura, del cosmo, dell’Uomo.

All’inizio era una forte sensazione di curiosità, quando le risposte che ricevevo non soddisfacevano le mie richieste: intuivo che c’era molto altro da scoprire… e oggi mi ritrovo sempre più convinta a concordare con l’autore che recita: “Il mondo è fatto più di spirito che di materia, e quello che non si vede è più importante di quello che si vede”[4].

Nella maggior parte dei casi, l’anelito alla conoscenza parte dall’uomo quando egli prova un qualche disagio, un proprio, strettamente personale, bisogno di aiuto.

Per me è stato diverso: mi sono iscritta a questa scuola innanzitutto per sperimentare me stessa, perché credevo di trovarvi molto materiale su cui dispiegare le mie ricerche, e così è successo.

Non mi sono mai sentita delusa, ogni lezione mi ha arricchito, insegnandomi e apportandomi  sempre qualcosa di nuovo da applicare nella mia vita quotidiana.

Un concetto che sono molto contenta di aver imparato in questi anni è che la magia sta nelle cose piccole, invisibili, impalpabili: più esse sono sottili, più la magia è acuta.

A volte vorremmo fare cose eclatanti, per essere considerati, per soddisfare il nostro bisogno di apparire, o per sentirci potenti, o per non sentirci impotenti.

Ma se, nel programmare un’azione grande, finisce per prevalere la nostra parte razionale, ne conseguono le aspettative, e l’ansia di cui esse sono portatrici non ci fa dormire.

Ho imparato ad accettare e a lasciar andare le cose così come vanno, con la fiducia che vanno alla grande: tutto ciò mi appare, a volte, commovente, perché mi sento tanto piccola, un puntino ino ino, eppure tanto potente come non mi sentirei neanche se sollevassi l’Ayers Rock senza mani…

Un altro aspetto interessante del mio nuovo approccio all’esistenza, appreso teoricamente e che mi sto allenando a mettere in pratica,  consiste nel considerare le persone in un quadro più ampio: più complesse, con tutte le loro varie parti che interagiscono, i condizionamenti, le diverse credenze, ma anche con il loro cuore che ama, le loro potenzialità di crescita, la loro tenerezza...

Oggi, nella mia quotidianità, cerco di avere un’attitudine  aperta

verso gli altri, considerando sempre la persona con cui interagisco come un essere speciale.

Questo non è sempre facile, perché il mio io è sempre pronto a giudicare e classificare; tuttavia, esercitandomi tenacemente a restare in uno stato di osservazione consapevole, mi accorgo sempre più spesso quando scatta la molla del giudizio e dei preconcetti, e semplicemente non seguo i pensieri a essa collegati, ma cerco di rimanere nel presente ad ascoltare attentamente le parole del mio interlocutore e anche a carpire i messaggi che egli invia con il suo comportamento, la postura, il tono della voce, le sfumature del viso, la direzione del suo sguardo: questo è un esercizio che, alla lunga, permette anche di conoscere se stessi sempre più in profondità.

Durante questi tre anni abbiamo avuto modo di sperimentare noi stessi attraverso una vasta gamma di esperienze dirette delle discipline che ci venivano proposte; alcune mi hanno coinvolto in particolar modo, poiché mi hanno offerto la possibilità di conoscere parti di me che prima erano sopite, rimanendo potenzialità non attualizzate.   

Anche il solo fatto di far parte di un gruppo eterogeneo di persone è stata per me un’esperienza illuminante, dal momento che fino ad allora ero sempre stata una ragazza solitaria, un po’ schiva, riluttante a dare confidenza e ad aprirsi agli altri; basti pensare al fatto che durante tutti gli anni di scuola non ho mai partecipato alle gite scolastiche, proprio perché non mi trovavo a mio agio in mezzo a decine di ragazzini schiamazzanti, che i professori insistevano caparbiamente a voler tenere in fila per due.

Recentemente, parlando con una mia compagna di corso, ho avuto la conferma del mio diverso modo di contattare il prossimo. Lei mi ha ricordato come ero tre anni fa: stavo tutta sulle mie, sembravo sempre pensierosa e parlavo poco. “Guardati adesso, come sei diventata!” mi ha detto “Sprizzi allegria e trasmetti il tuo brio anche agli altri!”. Aveva proprio ragione, e se questo corso di studi mi fosse servito anche solo a questo, sarebbe valsa comunque la pena – o, meglio, la gioia – di frequentarlo e di portarlo a termine.

Il gruppo è un organismo, e, come tutti gli organismi viventi, è in continua crescita e trasformazione: si configura volta per volta grazie alla comune azione – non a caso “comun-ic-azione” (azione comune nell’hic et nunc) – dei singoli individui che lo compongono. Questo percorso è come un’equazione che a volte si sbilancia, per poi trovare un nuovo e diverso equilibrio, a seconda dei movimenti energetici che si generano, al suo interno come all’esterno.

Non di rado, durante alcune lezioni, si sono aperte dinamiche che finivano col coinvolgere più partecipanti: uno giudicava un altro e il resto del gruppo si schierava dall’una o dall’altra parte, dopodiché qualcuno si offendeva e infilava la via della porta, perché il caso che si stava considerando risuonava con una sua problematica personale non ancora risolta; Tizio andava in collera se la lezione non aveva soddisfatto le sue aspettative, allora infieriva contro l’organizzazione della scuola; se Caio arrivava in ritardo, c’era chi si sentiva infastidito dall’inevitabile interruzione della dinamica in atto; a volte, se si instaurava una discussione più colorita del solito, l’ego di uno poteva enfatizzarne un altro, cosicché si trascorrevano minuti infiniti a disquisire su questioni di marginale rilevanza...

In realtà, questi semplici e a volte banali episodi, esplorati a fondo, ci hanno permesso di vedere, sperimentare e confrontare numerosi archetipi.

Da attenti bremologi, non ci siamo mai lasciati sfuggire nessuna occasione e le nostre intelligenze hanno cercato in tutti i modi di dare, insieme, un senso – più o meno profondo, secondo i casi – alle esperienze che stavamo vivendo: ciò ha comportato un minuzioso e profondo lavoro su noi stessi, sia in quanto organismo-gruppo, sia come singoli individui che non temono di mettersi in gioco e in discussione, con l’obiettivo di andare a sfiorare, come accarezzandolo, il limite di percezione di noi stessi, nonché il limite tra il sé e l’altro da sé.

Spostando i limiti si amplia la propria coscienza, si attivano nuove sinapsi...

Ecco che, allora, si comincia a capire che ciò che ci disturba dell’atteggiamento di un nostro simile altro non è che il nostro specchio, il nostro lato oscuro, la nostra ombra.

Ma l’ombra non va esclusa, anzi va abbracciata e coccolata; ci rendiamo allora conto che si tratta di caratteristiche che fanno comunque parte di noi, anche se fino a quel momento non le avevamo riconosciute in quanto tali, ma che, grazie all’amorevole comprensione e accoglienza che ci viene offerta, possiamo finalmente iniziare a integrare nel nostro essere.

Ci siamo sempre adoperati per armonizzare gli elementi perturbanti, quelli che, mascherati da sentimenti di rabbia, gelosia, fastidio, risentimento, intolleranza, presunzione, egoismo o indifferenza, non erano altro che la manifestazione delle nostre barriere presenti lungo il cammino verso una conoscenza che trascende anche noi stessi.

In questo viaggio verso l’Assoluto, scopriamo che ogni resistenza può essere trasformata in occasione di crescita, imparando ad inserire anche i più piccoli istanti di panico in un contesto molto più vasto, dove l’uno può incontrare il diverso, per potervi dialogare aperta – mente.

Questa modalità di vivere il gruppo mette in pratica il famoso adagio “uno per tutti, tutti per uno”: in fondo – come in superficie – la visione olistica non è altro che questo.

Per dirla alla maniera zen: “quello che è fuori è dentro, quello che è dentro è fuori”.

Sostituire agli obsoleti meccanismi di controllo e prevaricazione una sinergica e consapevole collaborazione conduce rapidamente a intuizioni precise e importanti, che aprono una nuova dimensione di esistenza, uno spazio di libertà.

Da questo punto di coscienza, ci accorgiamo che vivere la libertà vuol dire rinunciare a cedere alla tentazione di giudicare il prossimo, le sue azioni e le sue idee, sentiamo quanto è più facile procedere nel mondo facendo affidamento sul nostro intuito, vediamo la bellezza di rapportarci agli altri con il cuore aperto, senza paura di sbagliare, con la fiducia e la certezza che stiamo percorrendo la via della realizzazione dei nostri sogni.

Ricordo con tenerezza che durante il primo anno di corso c’era una persona che proprio non sopportavo, mi infastidiva il suo tono di voce, i suoi movimenti invadenti, la sua vicinanza...

Di acqua sotto al ponte dell’inconsapevolezza e della chiusura ne è passata tanta, portando via con sé la mia rigidità.

Già al secondo anno, quando arrivavamo in “aula”, entrambi ci salutavamo con baci e abbracci, andavamo a pranzo insieme, ci scambiavamo pareri raccontandoci le novità.

 Questo cambiamento ha segnato la misura della mia flessibilità, che mi ha permesso di abbracciare ciò che prima mi infastidiva e di provare l’affetto incondizionato.

Gli orientali dicono che “il cambiamento è l’unica cosa che non cambia mai”.

Hanno ragione: il segreto è assecondarne i movimenti e le direzioni, come quando danziamo e il nostro corpo segue la musica, o segue il silenzio, o segue i moti della nostra anima, o qualsiasi cosa stia seguendo, anche se non segue niente...

Questa straordinaria sensazione l’ho provata sperimentando la trance dance.

All’inizio delle due giornate dedicate a questa disciplina ci è stato anticipato che avremmo danzato per quattro ore di seguito. La reazione di tutti è stata di incredulità: “Come è possibile? Io non faccio attività fisica da anni! Io non ce la faccio”... e via blaterando.

In realtà queste erano soltanto convinzioni mentali, perché alla fine delle fatidiche quattro ore nessuno di noi si sentiva neanche lontanamente stanco, anzi eravamo galvanizzati da un’energia di euforica vibrazione.

Per eseguire questo tipo di danza, completamente libera nell’espressione corporea, nei movimenti e nelle tempistiche, è fondamentale respirare, come per lungo tempo, dovendo seguire i ritmi frenetici imposti dalla società moderna, ci siamo diseducati a fare: è necessario recuperare il contatto con il nostro respiro, che funge da ponte tra il nostro mondo interiore e il mondo esterno.

Di solito diamo per scontato il fatto di respirare, lo consideriamo un semplice meccanismo automatico solo perché è gestito dal nostro sistema vegetativo: questo funziona, sì, a prescindere dalla nostra volontà, ma bisogna capire che ci sono molti livelli di funzionamento.

Per assicurare la sopravvivenza basterebbe respirare in modo superficiale, ed è così che facciamo per la maggior parte della nostra vita: ci accontentiamo di quelle “poche” molecole di ossigeno su cui si basa la dieta delle nostre cellule del terzo millennio.

Imparando a gestire il nostro respiro in maniera consapevole, scopriamo che possiamo introdurre nel nostro corpo maggiori quantità di ossigeno rispetto a quelle cui siamo abituati, così ogni nostro apparato può assolvere alle sue funzioni in modo più sano: trasformando il nostro respiro, infatti, possiamo fare in modo che esso diventi una fonte di guarigione psico-fisica.

Una buona ossigenazione permette al nostro corpo e alla nostra mente di raggiungere livelli performativi più alti e con meno fatica.


2. LA RELAZIONE D’AIUTO

2.1 Verso un ascolto a misura d’uomo

Nel libro La terapia centrata sul cliente: teoria e ricerca, Carl Rogers definisce la relazione d’aiuto “ una situazione in cui uno dei partecipanti cerca di favorire, in una o in ambedue le parti, una valorizzazione maggiore delle risorse personali del soggetto e una maggiore possibilità di espressione [5]

L’obiettivo del counselor all’interno di una relazione d’aiuto è, in definitiva, offrire a chi si trova in una situazione di momentanea difficoltà uno spazio in cui poter esplorare le potenzialità per superare la condizione di disagio e le possibilità di uscire da una situazione di impasse.

Una volta terminato il percorso formativo, il counselor sceglie il proprio campo di azione, delineando la sua specificità professionale: dopo aver preso conoscenza dei modelli teorici elaborati e fissati nel corso della storia, se ne emancipa e sviluppa un  modus operandi che diventa originale e prototipo.

Come l’allievo supera il maestro, così il counselor di oggi ricerca l’accesso alla genuinità della persona.

E’ possibile instaurare una relazione d’aiuto con un singolo individuo o con gruppi, nell’ambito della coppia, nella famiglia, nella scuola, nella sanità, nelle aziende pubbliche o private.

Qualunque sia il suo territorio d’azione, il minimo comune denominatore rimane sempre e comunque la capacità relazionale, che non consiste semplicemente nel concedere uno spazio di tempo stabilito all’incontro, ma necessita e presuppone un concetto di sintonizzazione profonda, non sempre facile da raggiungere.

Affinché essa si realizzi sono necessarie tre componenti tra loro intimamente connesse, che, a mio parere, sono da ritenersi fondamentali: l’empatia, l’ascolto (nel suo duplice aspetto di ascolto di sé e dell’altro) e la centratura.

La mancanza di questi elementi può dar vita a dei “cattivi” counselor, che sono, appunto, quelli che non riescono a trovare la chiave d’accesso al mondo dell’interlocutore, ossia del cliente che, per definizione, non è mai “cattivo”.

La qualità della relazione d’aiuto è definita dal rapporto che si stabilisce tra counselor e cliente, che deve essere alla pari, senza alcuna forma di gerarchia, tra due persone che interagendo possono crescere insieme: il counselor non dispensa consigli dall’alto né ricette per la felicità, non si pone in una posizione di superiorità o di prevaricazione, non si ritiene il detentore di una verità solo a lui rivelata e da lui solo posseduta: i due protagonisti, divenuti occasionali compagni di viaggio, percorrono insieme un breve o un lungo tragitto, diretti  verso orizzonti di vita più luminosi.

Tuttavia, c’è un sottile confine che stabilisce nettamente i ruoli da interpretare da parte dei due attori.

Il counselor è il focalizzatore, colui che ha la responsabilità della riuscita; egli è la guida che accompagna l’altro verso la porta della consapevolezza; il cliente è il solo che possa decidere di volere o meno varcarne la soglia che apre l’accesso al suo mondo interiore; ed è sempre a lui che, una volta individuato il sentiero del suo personale sviluppo, spetterà di percorrerlo con le proprie gambe o di non percorrerlo affatto.

Prima ancora di poter aiutare gli altri, però, è assolutamente necessario che chiunque voglia diventare un bravo counselor, inizi con l’aiutare se stesso, effettuando un percorso interiore di conoscenza profonda e di consapevolezza di sé, per imparare a riconoscere e a gestire le proprie dinamiche personali, nella loro globalità.  

Per rendere più felice il mondo dobbiamo cominciare da noi stessi, facendo il necessario per essere felici”.[6]

In questo lavoro di conoscenza e rinnovamento egli acquisirà anche maggiore sensibilità, affinerà le sue capacità più sottili e potrà accostarsi ad affrontare una relazione d’aiuto con maggiore saggezza e trasparenza: soltanto così essa risulterà pulita ed efficace.

Se non si è lavorato abbastanza su di sé si possono correre molti rischi, che andrebbero a minare le basi dell’ascolto e che risulterebbero controproducenti ai fini del percorso di crescita.

Un counselor consapevole rimane ancorato al proprio centro, evitando, così, di entrare in una qualche sub-personalità, di identificarsi in figure archetipiche, come può essere quella del Salvatore, e di farsi coinvolgere e trascinare dalle emozioni che il cliente evoca.

Noi siamo stati abituati a considerare il concetto di aiuto come qualcosa che viene dall’esterno, un porgere la mano per sostenere, soccorrere, proteggere, assistere, facilitare o togliere qualcuno da una situazione di estrema difficoltà. E quello che chiede si pone passivamente in un atteggiamento di ricezione, affidandosi completamente alle mani del provvidenziale salvatore: non c’è azione, ma solo un lasciarsi manovrare da qualcuno che in quel momento riteniamo più forte e più capace.

Consegniamo, così, il nostro destino alla perspicacia, o almeno presunta tale, di un improbabile liberatore, il Deus ex machina padrone, in quel frangente, della nostra sorte. 

In questo caso, allora, l’altro, il salvatore, si sente autorizzato ad appropriarsi della nostra vita e decidere al posto nostro ciò che è giusto o ciò che è sbagliato.

Ed è spesso proprio in tal modo che agiscono alcuni terapeuti, ma non solo, anche alcuni educatori, maestri o gli stessi genitori.

Ognuno ha la propria idea del concetto di aiuto e, naturalmente, colui che si offre di salvare lo sventurato di turno, lo fa, in buona fede, nel modo migliore, con gli strumenti che egli solo conosce e che è pronto ad elargire, generosamente, a piene mani.

Ma per quanto possa essere sincera l’intenzione, essa da sola non è sufficiente a rendere valida l’azione, a meno che non sia sostenuta da quelle qualità e attributi essenziali di cui parlavo, prima fra tutti l’empatia: quella profonda capacità di sentire, intuire e riconoscere quasi come proprio, il mondo interiore dell’altro; abbandonare ogni schematismo razionale e aprirsi all’altro ascoltandone il respiro, il ritmo del cuore, gli impercettibili battiti di ciglia, quel moto involontario del labbro, il lieve tremolio delle mani, quell’accomodarsi o quell’inarcarsi del tronco, quel volgere lo sguardo altrove o fissarti direttamente negli occhi; comprendere quale disagio o quale timida luce si sta facendo strada dentro la sua anima; percepire il fruscio delle due anime, che all’improvviso si sfiorano e si riconoscono.

Ecco allora che avviene quella sintonizzazione, quel ritrovarsi sullo stesso piano energetico, diremmo, più materialmente, sulla stessa lunghezza d’onda: ed è proprio qui, in questo attimo e in questo spazio, che il cliente vede l’altro nella sua vera essenza, poiché nulla gli sta nascondendo, perché si mostra esattamente per ciò che è, trasparente come acqua sorgiva, senza alcuna maschera, senza alcun artefatto mentale: un’anima amorevole e disponibile ad ascoltare e accogliere la sofferenza.

Allora può sopraggiungere quel sentimento indispensabile che spalanca il cuore ed invita all’apertura, alla confidenza, potrei dire alla confessione, perché è ora certo che potrà mostrarsi senza paura, senza vergogna, senza timore di un giudizio: la fiducia.

Così sintonizzato e immedesimato nella persona che ha di fronte, il counselor riuscirà a percepire la medesima realtà: in questo modo può suggerire le parole giuste per continuare l’esplorazione di sé.

Le espressioni verbali che si utilizzano – nella relazione d’aiuto, come in tutte le circostanze della vita quotidiana – assumono una valenza tanto più specifica quanto più alto è il nostro livello di consapevolezza.

Le parole, come anche i pensieri, creano la realtà intorno a noi: sono vibrazioni energetiche che danno forma alla materia: è per questo che la sensibilità del counselor va allenata in modo da riuscire a intuire cosa si nasconde dietro le parole, a percepire le sfumature dell’intenzione con cui è espresso un termine, una frase, un concetto; oltre alle cose dette, il counselor deve saper comprendere i silenzi dell’altro, altrettanto rilevanti nella produzione di significato.

Dal suo centro di coscienza, il counselor presta estrema attenzione da un lato ai segnali non verbali che riceve dal corpo dell’interlocutore, dall’altro a che cosa risuona dentro di sé mentre il cliente esprime il suo sentire.

Poiché ogni individuo è unico, ogni seduta di counseling  si presenta come un evento anch’esso unico e irripetibile: pertanto egli dovrà adeguare l’ascolto a ogni singolo interlocutore, perché ognuno ha differenti modalità di sentirsi rispettato: ad esempio, ad alcuni può far piacere essere toccati, altri assolutamente evitano il contatto, quando non lo temono; alcuni preferiscono che, almeno inizialmente, gli vengano poste delle domande, altri potrebbero interpretare un atteggiamento di questo tipo come un’ invasione della propria privacy.

L’interlocutore va rispettato in ogni caso e in ogni senso: vanno rispettati i suoi tempi, i suoi spazi e tutto ciò che lo riguarda.

Per quanto concerne il setting dell’incontro – l’ambiente che accoglie, la disposizione della mobilia, l’illuminazione, il colore delle pareti, la presenza o l’assenza di finestre, ecc... –, è preferibile offrire al cliente più opzioni tra cui scegliere.

Per alcuni la classica sedia può risultare troppo rigida, altri potrebbero chiedere esplicitamente di sdraiarsi, a volte una sistemazione a terra può risultare invitante, altre volte potrebbe essere considerata come un’alternativa troppo fuori dalle consuetudini.

D’altro canto, il mondo è bello perché vario, e non potrebbe essere altrimenti.


2.2 Differenze tra percorso terapeutico e percorso di crescita: restituire il    soggetto a se stesso

E’ importante imparare a servirci del nostro discernimento più profondo per mantenere uno stato di salute e benessere, dal momento che fin dalla più tenera infanzia, siamo sottoposti a una miriade di influssi.

Quelli che ci hanno segnato di più ci provengono dalle persone in cui abbiamo riposto maggiore fiducia, come i genitori, gli educatori, i medici o i sacerdoti…

Quanti commenti, emessi più o meno inconsciamente, influenzano lo sviluppo fisico e psichico di un bambino, proseguendo, poi, anche in età adulta!

La medicina, come anche la religione, nel modo in cui sono state intese in occidente fino ad oggi, tendono a de-responsabilizzare l’individuo.

Il medico si prende cura della nostra salute fisica, del nostro corpo, il sacerdote si prende cura della nostra anima; a questi poi si aggiunge lo psicologo o lo psichiatra o lo psicoterapeuta, ai quali e’ demandata la cura della nostra mente.  Che cosa ci resta allora?

Depauperati della nostra capacità di discernimento e di giudizio, non siamo più in grado di ascoltarci e di provvedere così ai nostri bisogni e al nostro benessere.

Gli educatori, in genere, ci hanno convinto che il meglio per noi deriva dalle regole, uguali per tutti, che qualcuno ha preventivamente e definitivamente stabilito...

In ogni occasione, per ogni decisione da prendere, c’è qualcuno che ne sa più di noi, che è già passato attraverso quelle stesse esperienze e ha in mano la soluzione perfetta ai nostri problemi...

E il nostro senso di responsabilità? La nostra capacità di determinare momento per momento, giorno per giorno, la nostra vita, la nostra felicità o la nostra infelicità?

Perché è proprio di questo che siamo intimamente e completamente capaci e responsabili: siamo noi stessi i creatori della realtà, dentro e intorno a noi; e più vivo e consapevole e’ il nostro senso di responsabilità, più vera e concreta diventa questa possibilità.

Parlando di Responsabilità, la intendo nel senso di respons – abilitas, cioè la nostra capacità, abilità, di rispondere alle situazioni che ci si prospettano e agli stimoli che riceviamo.

Ma fin troppo spesso è più facile (o conviene di più) attribuire a qualcuno, a un fattore esterno, ineluttabile e – perché no? – “Superiore”, l’accadimento  di certi avvenimenti, specie di quelli più sgradevoli e dolorosi che nessuno vuole ammettere e riconoscere di aver provocato con il proprio comportamento e con le proprie azioni, nonché con i propri pensieri: “Come sarebbe a dire che mi sono provocato da solo la mia malattia?”. “Allora è colpa mia!”.

Ed ecco che si insinua, subdolo, il senso di colpa!!!

In ultima analisi, siamo figli di una primitiva e retriva cultura cristiano-cattolica, che ha seminato para-occhi camuffati da parrocchie: educazione più subita che ricevuta, che fin dalla nostra nascita, e più oltre ancora, ci ha inculcato l’idea di essere in balìa di una Entità Superiore, padrona e signora del nostro destino, in terra e in cielo, che analizza, giudica e cataloga il nostro operato in base a leggi rigide e inappellabili, in base alle quali premia o condanna; e la condanna sarà feroce: la dannazione eterna!

Più che a una religione questa assomiglia a una politica del terrore.

Poste queste basi, di fronte a una situazione spiacevole, inattesa e inspiegabile, automaticamente pulsano nella nostra mente quelle stesse domande: “Dove ho sbagliato?”, “Allora è colpa mia!”. Oppure si propende per cercare un responsabile esterno, considerato che un colpevole ci deve per forza essere. Quando siamo afflitti da una qualche sofferenza ci colpevolizziamo, credendo di essercela meritata, oppure accusiamo qualcun altro, se non Dio stesso.

Ed è appunto con questo senso di colpa, sempre pronto ad occupare la vastità della nostra mente, che viene sovente, purtroppo, confuso il concetto di responsabilità, che racchiude invece un significato molto più profondo e sottile, di consapevolezza, di integrità di giudizio verso se stessi, di partecipazione e di padronanza della propria vita.

Ma è proprio questa confusione a rendere una certa realtà difficile da accettare agli occhi di molte persone e che denota un’ incomprensione della legge di Responsabilità.

Non si riesce o non si vuole accettare la responsabilità delle proprie azioni, soprattutto quando queste generano sofferenza e malattie.

E’ più facile, invece, ritenersi le vittime di un destino avverso e feroce: ci creiamo così un alibi e continuiamo a giustificare le nostre azioni evitando, ancora una volta, di farci carico delle nostre responsabilità e della nostra vita.

In questo modo i nostri disagi e le nostre malattie, fisiche e psichiche, non riconosciute e non accettate dalla nostra consapevolezza, continueranno ad aggredirci e a perpetuarsi, finché ci svuoteranno di ogni energia per affrontarle e risolverle e cadremo succubi di quel crudele destino che continua a perseguitarci.

La guarigione del nostro corpo, inscindibile dalla nostra anima e dalla nostra mente, deriva esclusivamente dalla consapevolezza del nostro senso di Responsabilità. Da qui l’impostazione autonoma e volontaria delle nostre azioni, dei nostri pensieri e dei nostri comportamenti che andranno a generare le situazioni felici o infelici che di volta in volta sceglieremo di sperimentare.

La legge di Responsabilità arricchisce l’essere umano di un immenso e ineguagliabile privilegio, quello di disporre del  libero arbitrio, quella grande facoltà che rende liberi: liberi di scegliere le parole con cui esprimere le proprie idee, liberi di agire o di reagire, di affidarsi o di sfidarsi, di scegliere i compagni della propria vita o di sublimare il silenzio e la solitudine, di partire o di restare, di prendere posizioni o di rimanere neutrali, di coltivare l’amore per uno o per l’Universo intero, di cantare o di tacere, di procedere o di fermarsi....

Qualunque sarà la nostra scelta, in qualunque modo decideremo di vivere, non potremo sfuggire alle conseguenze delle nostre azioni, dei nostri pensieri e delle nostre parole.

Così anche il “destino” viene a configurarsi sotto una nuova luce: non è quella forza vendicativa che ci perseguita con la falce in mano e ci fa vivere nella paura.

Il destino è un regalo di cui siamo noi stessi sia i mittenti che i destinatari.

In quest’ottica, non ci stupiamo del fatto che non vi sia una differenza sostanziale tra i miracoli e l’ordinario e potremo anche imparare a considerare i sintomi come i messaggi che la nostra saggezza profonda ci invia per mezzo del nostro corpo.

In questo quadro, la medicina tradizionale deresponsabilizza il paziente: asportando il sintomo, facendo scomparire il dolore, toglie la possibilità all’individuo di intraprendere quel percorso di ricerca del fattore che ha generato il disturbo; percorso che è, invece, importantissimo, se non addirittura essenziale, per lo sviluppo di un individuo, perché è la via della sua crescita: attraverso questo viaggio con se stessi, si percorrono le rotte della consapevolezza e si può ampliare la propria coscienza rispetto a quelle domande universali che l’uomo non si stancherà mai di porsi: da dove proveniamo, dove siamo e dove stiamo andando.

Senza la luce di questa consapevolezza, la vita si riduce a una serie di dipendenze concatenate e incatenanti, a un brancolare nel buio, nell’attesa di un buio ancora più buio, la morte, dopodiché… il nulla…

Non è sicuramente una prospettiva allettante.

Ma in fin dei conti, non è difficile capire il motivo dell’atteggiamento della medicina tradizionale, così come quello della Chiesa: togliendo la responsabilità individuale, l’uomo viene depauperato anche del suo Potere; è più facile esercitare il controllo su una popolazione inconsapevole, piuttosto che su uomini dotati di una coscienza evoluta e consapevolmente creativa.

Un percorso di crescita e sviluppo porta l’Uomo alla ri-presa della propria sovranità personale, quella sovranità che aveva perso o era stato condizionato a delegare a qualcosa o a qualcuno altro al di fuori da sé.

L’invito della nostra epoca è quello a non accontentarsi di un assestamento dell’anima, quale ci viene proposto dall’aderenza ai dogmi della Chiesa, della medicina “da asporto” e dei tecnocrati della psiche; ma ci incoraggia a percorrere la via che ci conduce ad accarezzare la nostra anima, a prendercene cura invece che curarla, a ri-conoscerla come la più potente compagna di un viaggio verso la ri-scoperta della nostra vera natura.


3. LA VISIONE OLISTICA


Non possiamo più attribuire alle emozioni minore validità che alla sostanza fisica e materiale, anzi, dobbiamo considerarle segnali cellulari coinvolti nel processo di traduzione delle informazioni in realtà fisica, che trasforma letteralmente la mente in materia. Le emozioni nascono nel punto di congiunzione tra materia e mente, passando dall’una all’altra in tutti e due i sensi e influenzandole entrambe.[7]


3.1 Il concetto tradizionale di malattia in rapporto a quello di salute olistica 

Per la maggior parte del genere umano, accostare troppo la mente al corpo significa mettere in discussione la veridicità di una qualche malattia, insinuando il dubbio che essa possa essere non reale, immaginaria, privata di quel fondamentale valore scientifico che oggi pretende ed esige la scienza ufficiale accademica.

Se i contributi psicologici alla salute e alla malattia fisica sono visti con sospetto, l’idea che l’anima, che i Greci denominavano Psychè, possa contare qualcosa, è giudicata addirittura assurda.

Per questa strada entriamo, infatti, nel mistico, dove agli scienziati e’ stato tassativamente vietato di addentrarsi a partire dal Seicento, con Cartesio.

Le connessioni fra traumi interiori (lutti, abbandoni, tradimenti, stress, disagi profondi) e lo sviluppo di malattie è una acquisizione ormai da molti accettata.

La nostra mente, i nostri pensieri, le nostre emozioni, sono in stretto rapporto con la malattia, sia nel generarla che nello sconfiggerla; sono le emozioni stesse a unire fra loro corpo e mente: le connessioni fra questi sono state studiate sin dagli albori della storia dell’uomo e della medicina, sia in Oriente che in Occidente, anche se non sempre sono stati completamente ben comprese: la dimostrazione di ciò risiede nel fatto che ancora oggi si continua a discuterne.

Medici e filosofi si sono nei secoli concentrati, interrogati, incontrati e scontrati nello studio e nell’interpretazione della vera natura dell’uomo, della sua anima, della sua mente e sulle connessioni tra esse esistenti.

Già nel 2500 a.C., in un papiro egizio, viene descritto il cervello con i suoi solchi e le sue membrane. In esso viene utilizzata la parola ib che, oltre a cervello, significa anche mente e cuore. Tale ambiguità non è stata ancora chiarita.

Nel XIII sec a.C. Asclepio (Esculapio per i romani), inizia i suoi sacerdoti all'arte della guarigione; le emozioni sono considerate come fattori di malattia e le terapie sono integrate: poesia, musica, erbe e interpretazione dei sogni.

Socrate (470 – 399 a.C.) sottolinea la necessità di curare lo spirito e le emozioni di fronte alla malattia, precisando, poi, che il medico che ignorasse questo legame sarebbe destinato al fallimento.

Ippocrate (460 – 377 a.C.) comprese che la malattia non è causata da una successione di fenomeni inspiegabili, bensì si manifesta con evidenti nessi causali.
Egli riteneva che il cervello fosse la sede dell’anima e considerava il medico un osservatore attento dei segnali della malattia, con il semplice compito di aiutare la natura nel suo atto di guarigione.

Ildegarda di Bingen (1098 – 1179), grande mistica medievale e primo medico psicosomatico, pur non avendo una formazione né scolastica né accademica, durante la sua lunga esistenza svolse una ricca attività di scrittrice, producendo testi di medicina (Causae et curae, Physica), di cosmologia e biologia (Scivias), di storia naturale (Liber simplicis medicinae e Liber compositae medicinae).
Fu poetessa, musicista (compose più di settanta sinfonie che risuonavano nelle chiese di tutta Europa), erborista, pittrice e famosa per i suoi  miracolosi poteri di guarigione.
Nei suoi libri tratta delle relazioni tra l’uomo (microcosmo) e l’ Universo (macrocosmo), delle malattie come rottura dell’armonia cosmica e della medicina dolce come via naturale per ristabilire la sintonia tra corpo e spirito.
Per Ildegarda, la salute dipende in gran parte dallo stile di vita e dall’alimentazione: perciò detta le sei regole d’oro della vita, nelle quali sono raccomandati:

1. lo stile di vita,

2. l’alimentazione,

3. la regolazione delle fasi sonno-veglia,

4. l’esercizio fisico,

5. il contatto con gli elementi della natura,

6. l’attenzione alle riserve spirituali.

Essa dice: Se si comprendono i sintomi fisici nel loro senso più profondo, si possono riconoscere alla loro radice le cause spirituali e si può individuare il modo per liberare il corpo da questo peso”.
Lo scopo della psicoterapia, già olistica, di Ildegarda è la realizzazione di un Uomo, perfetta sintesi tra cielo e terra, totalmente consapevole della sua forza e delle sue debolezze e ricolmo di quel principio terapeutico insito in lui stesso.
Pertanto, ribadisce: la salute del corpo e la salvezza dell'anima sono strettamente correlate” (salus, dal latino, indica l’una e l’altra parola).

“Nelle sue visioni cosmiche si riflette la luce di una sapienza millenaria dove l’uomo, la natura e l’intero universo ritrovano la loro originaria armonia”[8].


Anche in Oriente la salute è ottenuta dall’equilibrio tra  lo Shen, spirito, che ha la propria sede nel cuore, il Jing, radice energetica ancestrale, e il Qi, energia che circola nell’organismo.

Le varie forme di energia sono responsabili del buon funzionamento degli organi: la malattia deriva dal disordine nella produzione e nella circolazione di questa energia.

Ancora una volta l’uomo è percepito nella sua globalità e nella sua essenziale e intima unità; esso vive nella connessione inscindibile di tutte le sue componenti, non concependo di essere separato in sezioni e compartimenti distinti l’uno dall’altro.

La salute è equilibrio e armonia fra tutte le sue componenti e, nello stesso tempo, equilibrio e armonia tra l’uomo e l’ambiente che lo circonda.

La malattia è la scissione di tale equilibrio interno e contemporaneamente la perdita del rapporto armonico con l’ambiente esterno.

Il sintomo che interessa uno specifico tessuto, un singolo organo o viscere o apparato, non implica che la malattia sia circoscritta e limitata a quello specifico tessuto, organo o apparato, bensì l’intero organismo è coinvolto dallo squilibrio in atto che si manifesta, al momento, a mo’ di segnale di allarme in quella specifica parte del corpo.

Un famosissimo detto cinese recita: “occorre curare il malato e non la malattia”… non esiste la cefalea o l’acne, bensì un determinato individuo, con le sue peculiari, uniche ed esclusive caratteristiche che soffre di quei determinati sintomi.

Fino a questo momento, pertanto,  il concetto di olismo,   non è  qualcosa di aleatorio o magico o sconosciuto, ma assolutamente implicito nella conoscenza e nell’esperienza di qualsiasi individuo, abituato per cultura e tradizione a ricercare in se stesso l’origine delle proprie sventure o del proprio benessere.


Ma, in Occidente, nel XVI sec., avviene uno stravolgimento nel campo della scienza: l’Olismo, con la sua visione globale e unitaria dell’organismo, viene liquidato, per far posto a una pressante e invadente visione meccanicistica e materiale dell’individuo.

Questo drammatico passaggio lo si deve principalmente a Cartesio (1596 – 1650), che, con l’enunciazione del principio Cogito ergo sum, stabilisce il fondamento primo della sua filosofia: non più l’ ”Essere”, ma la “conoscenza”, il “pensiero”.

Egli identifica la realtà in due parti ben distinte: da un lato la res cogitans, cioè l’io consapevole, libero, spirituale; dall’altro la res extensa, cioè il mondo delle cose materiali, spaziale, inconsapevole e, soprattutto, meccanicamente determinato.

L’enunciazione di questi principi filosofici, contribuisce a determinare quella drastica separazione fra emozione e intelletto sulla quale si fonderà la ricerca scientifica nei secoli seguenti, che indirizzerà il suo sviluppo seguendo il concetto meccanicistico ispirato da Cartesio ed imprimendo quell’impronta frammentaria e parcellizzante che disintegrerà la visione globale, unitaria e olistica dell’individuo.

Ma poiché l’uomo non può dimenticare né disconoscere la sua vera natura, continua ad alimentarla e a covarla, in attesa di un tempo più propizio e favorevole...












...Che non si fa attendere a lungo: infatti, da poco più di un secolo, grazie alla Sincronicità di Consapevolezza che si sta realizzando nei vari campi specialistici delle Scienze Umane, sta ritornando, più potente che mai, l’esigenza da parte del Sistema Cosmico di essere riconosciuto come la Forza sottile che tiene unito il Tutto.
L’Astrofisica e la Fisica delle alte energie, (l’unicità del campo quantico dove tutto è in sintonia), la Psicologia e la Filosofia (l’inconscio collettivo come strumento di comprensione del comportamento umano), la Biologia e l’Etologia (il campo morfico come sistema di comunicazione tra tutto ciò che  vive) hanno intrapreso, a cavallo dell’inizio del secolo scorso, questa direzione comune.

Già nei primi decenni del Novecento si comincia a fare strada una nuova scienza che, dapprima timidamente, poi sempre più apertamente, emerge con nuove teorie, ma in fondo non troppo nuove, come già precedentemente evidenziato, e nuove ricerche nel campo delle relazioni tra mente e corpo: la PsicoNeuroEndocrinoImmunologia, che così sentenzia:

Possiamo definire il corpo come la componente visibile e tangibile di un insieme molto più vasto e complesso che è la totalità del nostro essere, con tutti i suoi diversi livelli – fisico, emotivo, mentale e spirituale – strettamente collegati e interagenti tra loro”.

Una nuova, a lungo attesa, Era comincia a riapparire, riproponendo gli antichi e universali concetti che vedono l’uomo ricomposto nella sua interezza.

Lunga, anche se appassionante, sarebbe l’elencazione degli uomini e delle scoperte che hanno portato all’enunciazione di quei principi che nell’antichità erano considerati patrimonio della natura umana e non avevano bisogno di dimostrazioni.

Eccone alcuni esempi.

Candace Pert, famosa neurobiologa, ricercatrice nel dipartimento di Biofisica e Fisiologia della facoltà di medicina della Georgetown University a Washington, a cui si deve la scoperta dei recettori per gli oppiacei, ed autrice del famosissimo libro Molecole di emozioni, da anni si sforza di spiegare l’unità esistente fra materia e spirito, fra corpo e anima.

I suoi studi hanno portato all’individuazione di una biochimica delle emozioni e quindi alla esposizione di una teoria sottile sul modo in cui le emozioni contribuiscono alla creazione della salute o della malattia.

La scienziata afferma che alcune sostanze chimiche (i neuropeptidi) sono il substrato fisiologico delle emozioni, la base molecolare di ciò che sperimentiamo sotto forma di sentimenti, sensazioni, pensieri, impulsi e forse persino di spirito e anima e che essi e i loro recettori si trovano, non soltanto nell’ipotalamo, come un tempo si era portati a credere, bensì negli apparati più distanti e nei punti più periferici del corpo umano. Ciò ha indotto la scienziata a concludere che esiste una stretta relazione di comunicazione tra il cervello e il resto del corpo.

L’interconnessione esistente tra cervello e tutti i sistemi dell’organismo conduce la scienziata a un’ardita ma inevitabile affermazione, che va peraltro a confermare quanto già sostenuto dalle psicologie orientali: “ …si può concludere che la mente è nel corpo, nello stesso senso in cui la mente è nel cervello, con tutto ciò che questo comporta”.


Paolo Pancheri, Direttore della Clinica di Medicina Psicosomatica, e Massimo Biondi, altro esponente di punta della disciplina, sottolineano il carattere rivoluzionario di questo aspetto della ricerca biomedica: Si sono identificati i collegamenti tra cervello, sistema endocrino e sistema immunitario. Questo vuol dire che le relazioni tra mente e corpo hanno abbandonato il terreno della congettura, del puro psicologismo; infatti sono stati identificati, non solo i canali di collegamento tra psiche e soma, ma anche le molecole che fungono da mediatrici di questo rapporto[9].


D. Goleman, studioso di fama internazionale, si occupa degli effetti che le emozioni possono avere sull’organismo. In seguito a sue peculiari ricerche, egli afferma che emozioni quali la rabbia e l’aggressività svolgono un ruolo determinante in molti decessi prematuri; così come la depressione può svolgere un’azione di rallentamento in un processo di guarigione. Al contrario, emozioni quali la calma, l’ottimismo, la serenità e la disponibilità, svolgono un effetto positivo sull’intero sistema immunitario, e potenziano la capacità di guarigione dell’organismo umano.


G.M. Edelman, premio Nobel 1972 per la fisiologia e la medicina, per le sue ricerche sulla struttura degli anticorpi, nei suoi scritti ha posto particolare attenzione nei riguardi del problema della coscienza e del pensiero e ha cercato di definire quali siano i processi neurali che spiegano le proprietà della coscienza.

In particolare nel suo libro Più grande del cielo. Lo straordinario dono fenomenico della coscienza, l’autore affronta importanti concetti filosofici riguardo gli eterni interrogativi del nostro senso della vita.


J. Edwin Blalock, docente di fisiologia all’Università dell’Alabama,  afferma che i neuropeptidi (sostanze chimiche prodotte non soltanto dai neuroni, ma anche dalle cellule endocrine e dalle cellule immunitarie) possono essere considerate le parole e le frasi della comunicazione tra il cervello ed il resto del corpo.


James Le Doux, considerato uno dei più eminenti studiosi di neurobiologia, nei suoi scritti, guida il lettore alla scoperta del sé, alla luce dei risultati di oltre vent’anni di ricerca.


Antonio Damasio, neurobiologo portoghese, meditante dichiarato, ha contribuito a questo sviluppo con i suoi studi e le sue ricerche sulla neurologia della visione, della memoria e del linguaggio.


Altri e numerosi sono i ricercatori che, all’interno di discipline biomediche tradizionalmente separate, tendono a dimostrare come il cervello, pur essendo la sede delle funzioni intellettive umane, è, al tempo stesso, una ghiandola endocrina che, in perpetua e stretta collaborazione con altri apparati, costituisce un sistema strutturato a più vie, teso a mettere in atto le reazioni vitali di adattamento dell’organismo ai cambiamenti che provengono dall’esterno.

Alla luce di queste nuove conoscenze, si può ormai chiaramente sostenere che i grandi sistemi del nostro organismo (psicologico, nervoso, endocrino, immunitario) sono in stretto rapporto tra loro e che questa connessione agisce in modo tale da influenzare il microambiente su cui vengono ad instaurarsi i disordini del nostro organismo.

Si sta verificando, già da ora, ciò che alcuni autori predicevano pochi decenni fa, e cioè che la Medicina difficilmente potrà fare a meno dei concetti della psiconeuroendocrinoimmunologia e delle dimostrazioni, sempre più consistenti, dei legami che esistono tra cervello e organismo, tra mente e corpo, tra stress e modificazioni somatiche.

Questa realtà sfida, ancora una volta, una concezione della medicina settoriale, divisa in branche rigide, erede di concetti importanti ma ormai d’altri tempi, e apre orizzonti del tutto nuovi alla conoscenza dell’uomo.

La considerazione che mi viene spontanea – nel voler fare un confronto con la medicina tradizionale che ogni giorno ci spinge, se non addirittura ci obbliga (vedi le vaccinazioni), a considerare l’ambiente intorno a noi come un ricettacolo di pericoli e ci vorrebbe costringere ad uno stato di continuo allarme – è come l’affrontare la malattia, e in generale la vita, con una visione più ampia e allo stesso tempo unitaria, ci permette di conoscere e coltivare l’armonia, essenziale per la salute della nostra mente e della nostra anima.

Attraverso uno sguardo olistico possiamo imparare a decifrare il linguaggio del nostro essere elettromagnetico e a riconoscere gli effetti dell’energia emotiva, passata e presente, sulla salute fisica.

E’ vero, sì, che la visione olistica ci permette di contemplare l’unicità e l’interezza di tutto, ma al tempo stesso ci offre la possibilità di considerare le singole parti che questo Tutto concorrono a formare.

Si può fare un’analogia con il puzzle: ogni singolo pezzo è reale e finito e completo in se stesso, in quanto pezzetto di cartone, colorato, con la sua specifica consistenza, il suo peso e la sua simpatica forma; l’insieme di tutti i pezzi compone un disegno più grande, che a sua volta contiene tutti i singoli tasselli e non potrebbe essere quello che è se ne mancasse anche soltanto uno.

Facendo l’esempio su di me, pur restando su un piano molto superficiale e generico, posso dire: sono un essere umano, femmina dal punto di vista biologico, individuo donna da quello sociale, cittadina di un determinato stato politico, lavoratrice autonoma dal punto di vista del lavoro, studentessa rispetto al  mondo della formazione, figlia all’interno di una famiglia, compagna nel contesto di coppia, ecc….

Ognuno di questi aspetti ha un senso se preso singolarmente. Eppure, ciò non esaurisce la descrizione di ciò che io sono come persona. Di me fanno parte i ricordi del passato, le idee del presente, i progetti per il futuro, i miei gusti culinari e musicali, il mio modo di camminare, gli ultimi pensieri prima di addormentarmi e molte altre caratteristiche.


3.2 Tutto è Uno


I maggiori problemi del nostro tempo sono sistemici;

isolati non possono essere compresi.

Per comprenderli è necessario un approccio olistico, o sistemico.



Fritjov Capra



Essendo la visione olistica omnicomprensiva, gli elementi che bisogna prendere in considerazione per applicarla sono gli estremi – cioè l’infinitamente piccolo e l’infinitamente grande, dimensioni che non sempre, anzi direi quasi mai, ci permettiamo di identificare e di riconoscere – e gli opposti, per trovare in essi caratteristiche ed attributi che li rendano simili e complementari.

In quei rari momenti in cui ci soffermiamo ad osservare la struttura dell’Universo, percepiamo essenzialmente la sua materialità, nei suoi aspetti e nelle sue dimensioni più manifeste e tangibili; i nostri sensi, che nei secoli si sono via via sempre più intorpiditi ed anestetizzati, perdendo le loro intrinseche e reali capacità di vedere e sentire, percepiscono ed afferrano solo un aspetto superficiale e palpabile del mondo che ci circonda.

In realtà gli oggetti che ci appaiono in forme e strutture ben delimitate, sono composti da particelle atomiche e sub-atomiche ai nostri occhi invisibili, ma vive e determinanti.

L’atomo, già di per sé invisibile, perciò infinitamente piccolo, è composto da un nucleo intorno al quale orbitano gli elettroni; noi non lo vediamo, ma lo possiamo ben immaginare, rapportandolo ad un sistema ben più visibile ed infinitamente grande, che è il nostro sistema solare, costituito dal sole e dai pianeti che gli girano intorno… e possiamo andare ancora oltre l’infinitamente piccolo e oltre l’infinitamente grande… perché la realtà che ci circonda e che noi tendiamo sempre più a definire e a circoscrivere, è molto più complessa e sottile di quanto riusciamo ad immaginare.

Gli scienziati, ognuno orientato e concentrato nel proprio specifico settore, sono stati sempre inclini a catalogare e raggruppare le proprie scoperte, dando loro una connotazione definita e separata dalle ricerche e dalle scoperte emergenti in altri campi.

Fino a che alcuni illuminati studiosi hanno riportato alla luce concetti e nozioni conosciuti fin dai primordi della vita, ma per troppo tempo dimenticati o volutamente ignorati: biologi, fisiologi, sociologi, ingegneri, fisici, sanno ormai bene che alla base dei fenomeni più diversi ed apparentemente opposti risiedono proprietà e principi comuni.

Perciò oggi, alle soglie del terzo millennio, la scienza ha dovuto ri-conoscere le comprovate corrispondenze tra l’energia e la materia, due elementi estremi ed opposti che per secoli sono stati considerati completamente indipendenti e separati l’uno dall’altro.

“Energia” è un termine troppo vago per parlarne dando per scontato che tutti gli attribuiscano lo stesso significato: ognuno gli fa corrispondere un significato particolare, non c’è ancora una definizione universalmente condivisa.

Inoltre, ci sono molti e differenti tipi di energia: c’è l’energia elettrica, l’energia meccanica, l’energia generata dai nostri processi bio-chimici che ci permette, ad esempio, di fare una bella corsa sulla spiaggia; c’è l’energia che mettiamo nelle nostre parole quando vogliamo evidenziare una sfumatura del nostro discorso; c’è l’energia che ci manca alla fine di una giornata stressante; c’è l’energia che riceviamo da un buon succo di frutta, c’è l’energia eterica di cui sentiamo parlare da vari “maestri” spirituali….

Non tutti conoscono le diverse accezioni della parola: ci sono persone che dell’energia cosmica non hanno mai sentito parlare, e forse neanche mai ne sentiranno; mentre ce ne sono altre nella cui vita l’energia cosmica ha una rilevanza talmente grande, che possono fare benissimo a meno di quella elettrica.

Si fa presto a dire: “Se vuoi migliorare il tuo stato di salute, faresti bene ad innalzare la frequenza vibratoria della tua energia” !

Dicendo ciò, tra operatori nel campo delle discipline olistiche spesso ci si intende; ma, in qualità di counselor, interagendo con i nostri interlocutori, non dobbiamo dare niente per scontato, quindi meglio evitare parole troppo vaghe.

Dell’energia non è sempre necessario parlare, meglio lasciarla scorrere…

Anche se non è facile descriverla a parole, ho un’idea ben chiara di che cosa sia per me: essa è il denominatore comune che tutto sottende. Quel liquido non liquido che tiene insieme tutti gli elementi che concorrono a fare di noi le persone che siamo in questo momento: da quelli fisiologici a quelli spirituali, passando per quelli psicologici, emozionali, caratteriali, razionali, ereditati, trasformati, integrati, proiettati, culturali e non.

L’energia è l’intenzione in sé, intenzione di esistere, di essere qui e ora, con tante cose da fare. E’ l’essenza pura, l’idea più leggera, lo spazio talmente rarefatto che sfiora il vuoto, l’energia è anche il vuoto.

Essa è dappertutto, dentro e fuori e intorno, dagli atomi di una molecola di sabbia viaggia per l’uni-verso multi-verso, solcando le galassie.

L’energia sta alla materia come la vibrazione sta al suono: esiste sempre e può assumere infinite sembianze, a prescindere che noi la percepiamo oppure no.

Ecco! Forse la caratteristica che meglio la definisce è la sua dimensione infinita, estrema in ogni direzione.

E’ l’assenza di tutto, senza la quale niente potrebbe esistere.

La materia, in tutte le sue forme, è un concentrato di forze: essa si presenta ai nostri occhi, solida solo perché tenuta assieme dalle potenti forze esercitate dalle sue componenti subatomiche; ed è a queste a cui fanno riferimento oggi le teorie più avanzate della fisica quantistica, che ci dice che materia ed energia sono due diverse forme in cui la realtà si manifesta ai nostri sensi, o, in altre parole, due modi in cui noi possiamo percepirla.

Le nuove teorie non si interessano più delle molecole, ma dei campi di forza esercitati da dette particelle.

Secondo questa concezione, gli oggetti materiali solidi, a livello sub-atomico, non sono costituiti che da sequenze ondulatorie e la stessa fisica quantistica afferma che la luce è sia energia sia materia: l’aspetto in cui essa si rivela dipende sostanzialmente dal punto di vista di chi la osserva; essa ha così confermato l’essenza vibrazionale alla base della vita: l’energia vitale, quindi, non è statica, ma cinetica, si muove, viaggia, attraversa spazio e tempo e crea situazioni, incontri ed occasioni.

Teoria a cui ormai tutto il mondo scientifico ha dato largo credito, suffragata dalla più rivoluzionaria, ed ormai ampiamente riconosciuta, Teoria della Relatività formulata da Einstein (1915): E=MC2.

Vale a dire: l’Energia equivale alla massa moltiplicata per la costante di velocità al quadrato.
Questa equazione ci dice che la velocità della luce è una costante e che Energia e Massa sono due parametri variabili, interdipendenti, che si trasformano l’uno nell’altro: la massa non è che energia concentrata.

D’altronde, nel mondo orientale l’unitarietà tra energia e materia è da sempre un dato acquisito, che non necessita di dimostrazioni.

Questa straordinaria e millenaria civiltà ha, infatti, edificato le fondamenta di tutto il suo pensiero scientifico, rimasto immutato e saldo nei secoli, sull’assunto “il mondo è composto da forze mutevoli”.

E tale concetto è stato intuito e realizzato, già più di tremila anni prima che Einstein formulasse la sua teoria, in quella branca del sapere rappresentata  dalla Medicina Cinese (MTC), che si propone come una medicina essenzialmente energetica, le cui origini si fanno risalire all’età della pietra e addirittura alla comparsa dell’uomo sulla terra.

Nel Nei Jing (antico testo di Medicina Tradizionale Cinese) è scritto: “ Il TAO produsse l’uno (QI), l’uno produsse il Due (yin e yang), il due produsse il Tre (uomo, cielo, terra) ed il tre produsse i diecimila esseri".

Ma tutti gli esseri non sono che l’evoluzione dinamica del Tao: cosicché tutti esistono nel Tao e il Tao esiste in tutti, in altre parole: Tutto è Uno.


L'universo, realtà indivisibile, in eterno movimento, materiale e spirituale al tempo stesso, è l'espressione di un principio fondamentale o TAO, origine, motore e fine di tutto ciò che esiste, pur restando impercettibile e indefinibile.

Tutto il mondo fenomenico e ogni essere vivente è una emanazione del Tao che si esprime attraverso l'azione di una forza di trasformazione e mutamento, chiamata QI o soffio vitale, ("energia" in occidente) che scorre incessantemente ovunque,  e si manifesta attraverso l'attività dinamica di due forze o polarità ancestrali, lo Yin (che esprime l'aspetto femminile, ricettivo, interno, freddo, oscuro di ogni fenomeno) e lo Yang, (in cui risiede l'aspetto maschile, creativo, esterno, caldo e luminoso), principi opposti, ma tra loro complementari, che interagiscono e si alternano all'infinito in un processo dinamico realizzando un perfetto equilibrio: dalle loro relazioni bilanciate dipende l'armonia dell’Universo e quindi dell’uomo che di esso fa parte.

Elemento dell'Universo situato tra cielo e terra, l’uomo è il frutto della combinazione delle due energie in perenne movimento e trasformazione ed è sottomesso alla legge dello Yin/Yang.

Alla nascita, esso viene provvisto di una determinata quantità di energia vitale primordiale ( jing ), ereditata dai genitori, quindi non rinnovabile, ma soggetta ad esaurimento nel corso della vita, a cui si aggiungono le energie assimilate dal cosmo e quelle assorbite dalla terra, reintegrabili attraverso la respirazione e l'alimentazione. L'insieme di queste differenti forze vitali costituisce il QI o energia essenziale dell'individuo, la cui circolazione equilibrata e armonica, assicura lo stato di buona salute.

Finché l’uomo si trova in equilibrio con l’ambiente (macrocosmo) e con se stesso (microcosmo), l’energia circola armoniosamente e l’individuo mantiene lo stato di salute. Se per qualche motivo, sia di natura esterna che interna, il flusso dell’energia subisce degli squilibri (difetti nella produzione, nella circolazione o nel consumo), ha inizio il processo di malattia che in un primo momento si manifesterà con disturbi funzionali quindi, se non si interviene con adeguate misure terapeutiche, con manifestazioni organiche.

Possiamo pertanto dire che il pensiero cinese, al contrario dell’approccio occidentale, analitico, che separa, scompone e analizza nelle sue singole parti, formula le sue leggi utilizzando un procedimento analogico, induttivo, cioè collega, mediante l'osservazione dei fenomeni naturali, fatti ed eventi e ne coglie le corrispondenze e le analogie; ed è su questi presupposti che si reggono alcune leggi fondamentali, alla base della sua filosofia e della sua concezione della vita. una delle quali è la legge dello yin e dello yang.

Tutto, nell'universo, può essere catalogato rispetto ai principi yin o yang, intesi come i due lati della stessa medaglia; ogni aspetto della vita consta dello scorrere dello yang verso lo yin e viceversa.

Perciò avremo il giorno e la notte, il caldo e il freddo, l’interno e l’esterno, la mattina e la sera, il buio e la luce, il basso e l’alto, il pieno e il vuoto,  il bianco e il nero, il superficiale e il profondo, l’estate e l’inverno, il piccolo e il grande, il maschile e il femminile, e così via all’infinito potremo continuare  ad elencare un elemento ed il suo contrario, dimostrando come siano inscindibili ed essenziali l’uno all’altro e come non sia possibile la loro esistenza disgiunta.

Nell'ideogramma del QI, substrato energetico della realtà, sono espressi in sintesi i concetti su esposti che ben si collegano e si identificano con la più recente, e forse più famosa, equazione matematica di Einstein.


Nella parte bassa è rappresentato un chicco di riso che cuoce: esso è l'alimento per eccellenza, che rappresenta la materia concreta, l'energia allo stato potenziale (yin).

Le linee orizzontali nella parte superiore rappresentano il movimento dell'emissione del vapore, che si sprigiona dal riso, la parte mobile, più sottile, più yang dell'energia.

Lo stesso concetto è ancora una volta espresso nel diagramma del Tai Ji.

La tendenza a concentrare materia è l'aspetto yin della realtà, mentre la tendenza a muoverla e disperderla è l'aspetto yang della realtà: il Qi è, dunque, energia, ma anche struttura materiale.

Questo emblema simbolizza, forse più di ogni altro, la presenza dei due aspetti, contemporanei ed inscindibili, della realtà, presenti in tutte le cose e in tutti gli esseri dell’Universo.

Non può esserci assolutamente solo materia (yin) o solo spirito (yang): quando una delle due polarità raggiunge il proprio massimo, deve trasformarsi in quella opposta, in una perenne ed equilibrata continuità: nel simbolo dell’uno è contenuta la presenza del segno opposto dell’altro, quasi fosse un seme che si appresta a germogliare.

A loro volta, le due polarità sono contenute nel tutto, il TAO, da cui sono emanate e al quale sempre ritornano.

Del termine ‘energia’ si è parlato molto, soprattutto con l’avvento della New Age, che, a mio parere, pur presentando non pochi aspetti positivi, ha contribuito a creare una certa  confusione a riguardo, accentuando forse troppo spesso la visione mistica dell’uomo, trascurandone quella più prettamente fisica, o, meglio,  corporea.

Ma la nostra cultura non ha ancora bene integrato i due concetti, che vengono intesi come due cose distinte o indipendenti l’una dall’altra.

In effetti, non è semplice avere una visione unitaria e integrata della realtà, ma questo aspetto gioca a favore di chi, come noi, ama indagare le radici della nostra esistenza, di quanti ancora non si accontentano, di quanti dalla bambagia ovattante di questa matrice interpretativa si stanno costruendo un varco, di quanti sanno che l’umano essere è sempre in continuo, anche caotico, movimento.

Siamo, qui e ora, con un corpo che ci permette di osservare ciò che ci circonda da differenti punti di vista.


Il concetto del “Tutto è Uno” lo ritroviamo ancora nella Teoria olografica, elaborata per la prima volta nel 1947 da D. Gabor, a cui fu assegnato il Premio Nobel per la sua attività scientifica. Sulla scia di queste prime intuizioni, molte strade si sono aperte e nuovi tipi di ricerche in quasi tutte le discipline scientifiche hanno favorito la nascita di nuovi modelli esplicativi e di nuove scoperte.

L’applicazione della teoria olografica alla spiegazione della percezione della realtà spetta a due eminenti scienziati, il fisico David Bohm e il neurofisiologo Karl Pribram, che nel secolo scorso, indipendentemente l’uno dall’altro e partendo da presupposti completamente diversi – l’uno dalle particelle subatomiche, l’altro dal cervello umano – hanno intuito e quindi formulato.

Secondo tale teoria, nella più piccola particella esistente è rappresentata, in nuce, tutta l’esistenza dell’Universo, cioè l’intero è rappresentato in ogni più piccola sua parte.

In ogni cellula del nostro corpo è contenuto il nucleo con il suo DNA, in cui sono trascritte tutte le informazioni relative alla struttura, micro e macroscopica, dell’intero organismo: ogni cellula è così connessa intimamente alle altre cellule e alla globalità del nostro essere, nello stesso modo in cui un microcosmo è racchiuso in un macrocosmo.

Nella stessa relazione l’uomo (microcosmo) è unito come ogni altro essere vivente all’intero Universo (macrocosmo).

Concetto sicuramente difficile da comprendere per la maggior parte della gente e fatta oggetto di controversie da parte di numerosi studiosi, ma abbracciata da altri eminenti e accreditati scienziati, che in tal modo sono riusciti finalmente a spiegare un’enorme quantità di fenomeni, considerati fino ad allora oscuri ed incomprensibili, quali la telepatia, la precognizione, la psicocinesi (capacità della mente di muovere oggetti senza toccarli), la sincronicità, i sogni lucidi, le esperienze di pre-morte.

Non solo, essa riesce anche a spiegare come il nostro cervello possa contenere un così gran numero di ricordi in uno spazio tanto ristretto.

“I nuovi dati sono di così lungimirante attualità che potrebbero rivoluzionare la nostra comprensione della psiche umana, della psicopatologia e del processo terapeutico. Alcune delle osservazioni trascendono nel proprio significato lo schema della psicologia e della psichiatria e rappresentano una vera sfida per l’attuale paradigma newton-cartesiano della scienza occidentale.

Esse potrebbero mutare drasticamente la nostra immagine della natura umana, della cultura, della storia e della realtà”.


                                                                                                              Dr. Stanislav Grof

                                                                                              “The adventure of self-discovery”


Lo stesso Stanislav Grof, autorevole psichiatria e singolare esploratore degli stati alterati di coscienza, afferma in un suo scritto che i modelli neurofisiologici del cervello, così come universalmente ed accademicamente conosciuti, sono inadeguati a spiegare alcune esperienze che possono invece essere interpretate attraverso l’applicazione dell’ emergente modello olografico.

L’importanza dell’acquisizione di questa teoria sta nel riconoscere l’unitarietà dell’universo. Infatti, la tendenza quasi del tutto generale a frammentare il mondo, ignorando l’interconnessione dinamica esistente fra tutti gli elementi, è responsabile della maggior parte dei problemi dell’umanità, in tutti i campi della nostra vita, singola e collettiva, e potrebbe portarci perfino alla completa estinzione.

Dalle Stelle dell’Universo, alla Società, all’Individuo, possiamo applicare questo concetto al microcosmo, rappresentato dall’uomo con il suo organismo: è impossibile trattarlo senza considerarlo nel suo insieme; poiché il mantenimento dell’equilibrio fra tutti gli elementi che lo compongono e lo contengono è necessario per il suo stato di completo benessere.

In caso contrario si verificherebbe squilibrio, disarmonia, quindi malattia.

Lo stesso concetto ce lo ribadisce la Natura che, nella sua estrema saggezza, ci fornisce un esempio evidente attraverso quegli straordinari fenomeni a cui Benoit Mandelbrot nel 1975 diede il nome di frattali.

Complessi da definire, più immediati invece da capire semplicemente osservandoli: vediamo allora come un oggetto, in qualunque dimensione scalare lo si osservi, presenti ininterrottamente gli stessi caratteri globali

Così un ramo è proporzionalmente simile all’intero albero e ogni rametto è a sua volta simile al proprio ramo, e così via.

Ancora una volta il tutto è rappresentato dalla più piccola unità, essa stessa facente parte dell’intero.

Il tutto tenuto insieme da una più vasta idea di equilibrio e perfezione, in assenza del quale non esisterebbe che caos e scompenso.

Equilibrio o scompenso che siamo noi stessi, con le nostre scelte e con le nostre prese di coscienza a determinare, sia dentro che intorno a noi.

Siamo liberi quindi di scegliere e meglio sarebbe se tale scelta fosse suggerita da un atto di intelligenza: impariamo pertanto ad inter-legere, ossia a leggere tra le righe i messaggi che il nostro corpo, l’organismo Società Collettiva e, più in generale, il nostro Pianeta ospitante ci  trasmettono.

La possibilità di questa scelta è particolarmente importante in questo momento così critico per l’umanità, in cui si avvertono grandi manifestazioni di turbolenza e aggressività da parte del pianeta, che si esprime attraverso eventi catastrofici quali terremoti, inondazioni, tracimazioni, valanghe, pestilenze: non sono altro che il tentativo di ristabilire un nuovo equilibrio e, al tempo stesso, sono il segno tangibile dell’interdipendenza e dell’interconnessione dei fenomeni; altrettanto inquietanti sono i messaggi che ci giungono dall’organismo Società Collettiva: guerre, sfruttamento delle risorse umane, naturali e animali, prevaricazioni sociali,  ingiustizie, avidità, continue lotte di potere; così anche il nostro organismo risente di tanta sofferenza, da cui il dilagare di malattie sempre più incurabili e di estremi e oscuri disagi mentali.

Una terribile ed egoistica forma di ipocrisia ci impedisce di vedere e riconoscere le relazioni esistenti tra questi fatti e l’azione dell’uomo; ci impedisce di riconoscerli come l’esito della rottura di un equilibrio cosicché non percepiamo la necessità di ricerca di una nuova stabilità.

Se continueremo a ignorare questi richiami, se perdureremo nell’interminabile guerra con noi stessi e con il mondo intero, se proseguiremo a travalicare i limiti e le leggi della forza che ci ha generato, se continueremo ad allontanarci e a rifuggire dall’unità, la malattia ci prevaricherà, la natura si ribellerà fino al compimento dell’annientamento totale.

Ma come può realizzare la sua distruzione l’uomo, con un atto di scelta intelligente e consapevole, può anche partecipare al suo rinnovamento e alla sua ricostruzione, ritrovando il suo centro e riconoscendo la sua armonica unità; prevarranno allora i movimenti per la pace, il sentimento di giustizia e uguaglianza, di libertà consapevole, di comprensione, di fiducia: l’Uno si potrà riunire così al Tutto e il Tutto ritroverà nell’Uno la sua perfezione e la sua realizzazione.

Da questa ritrovata consapevolezza dipenderà la sopravvivenza del pianeta e  la rinascita di un comportamento capace di creare uno sviluppo compatibile con la sopravvivenza della terra.

In ultima analisi, l’intero universo [….] deve essere compreso come una singola totalità indivisa, in cui l’analisi in parti esistenti in modo separato e indipendente non ha una fondamentale ragion d’essere.[10]

                                              

L’universalità e l’attendibilità di questi concetti risiede nella constatazione che ogni teoria, benché formulata in epoche e da individui diversi, è giunta infine a enunciare lo stesso concetto fondamentale, l’Unitarietà dell’Universo.

Qualunque sia l’idea  che più condividiamo, la verità è soltanto una: l’uomo, nella sua complessità di mente, corpo e anima, non può essere frammentato e suddiviso in sistemi, organi o cellule. La salute dell’intero suo organismo dipende dall’equilibrio di tutte le sue componenti, egualmente fondamentali, così come dal suo benessere dipende anche la salute del pianeta Terra, perché l’uomo è l’anima della terra e la terra è l’anima dell’uomo; nell’uno si rispecchia l’altra e viceversa e le azioni dell’uno incidono inevitabilmente sull’altra perché, essendo l’uno una particella olografica dell’altra, non possono ignorarsi a vicenda: se l’uomo è in equilibrio, godrà di buona salute, rispetterà se stesso e, di pari passo, rispetterà la terra che lo accoglie e lo nutre; il pianeta, rispettato ed amato, continuerà ad alimentare amorevolmente il suo ospite.

Se consideriamo per un attimo la parola “universo” e la scomponiamo, troviamo che essa è formata da “uno” e “verso”, cioè poesia, canzone. Ecco che cos’è l’universo: una sola canzone, di cui ognuno di noi rappresenta una nota. Siamo perciò individui unici, apparteniamo alla medesima totalità e le nostre azioni sono tutte indissolubilmente concatenate e collegate.

Questa visione è chiaramente condivisa e ampiamente esposta nel saggio di Ken Kesey La centesima scimmia; Quantum reality di Nick Herbert, Il Tao della fisica di Fritjof Capra, La danza maestri Wu Li di Gary Zukav, The lives of a cell di Lewis Thomas, A new Science of life di Rupert Sheldrake, non sono che un esiguo esempio della foltissima bibliografia che esiste sul tema della coscienza collettiva, sulle cui regole, non ancora scritte, l’intera storia dell’universo sembra uniformarsi.

L’invito improrogabile da rivolgere ad ognuno di noi è considerare il nostro corpo non come un semplice aggregato di apparati, ognuno espletante la propria funzione, ma come un organismo dinamico, in movimento, in continua evoluzione e mutamento.

Impariamo a suonare lo strumento del nostro essere, in modo da produrre una sinfonia armonica e spettacolare.


4. SOLUZIONI OLISTICHE OGGI

In Oriente, in Africa e nelle culture tradizionali americane e australiane, non incanalate dal dualismo cartesiano, non è nata una concezione dell’individuo come entità chiusa all’interno dei limiti del corpo. Queste tradizioni sono pervenute a procedure curative legate all’idea che i disturbi dello spirito siano disturbi delle relazioni con il mondo visibile, ovvero la dimensione relazionale e sociale, e invisibile, ovvero la dimensione spirituale.[11]

Nell’ambito delle terapie psicologiche si parla di rado e malvolentieri della spiritualità, forse perché è difficile da definire, ma anche perché troppo spesso  viene identificata, dall’opinione pubblica, con la religione, che di per sé può rappresentare un elemento di divisione e di forti contrasti.

Essendo l’esperienza umana molto più vasta della semplice psicologia, è proprio attraverso la spiritualità che possiamo approfondire la ricerca dei significati che permeano la nostra vita e la nostra stessa esistenza su questo pianeta.

In realtà non esiste un motivo scientifico per tener fuori la spiritualità dalla medicina. E’ solo il frutto di un’abitudine ormai da troppo tempo consolidata e che, in qualche modo, la scienza biomedica, avendo compreso quale ruolo determinante svolgano anima, mente ed emozioni nella salute fisica, è chiamata sempre più insistentemente a integrare.

Sempre meno persone, oggi, si riconoscono nella terapia tradizionale, essendo venuta meno la fiducia nelle istituzioni e nella medicina accademica.

Senza voler necessariamente demonizzare una scienza alla quale bisogna riconoscere grandi meriti ed enormi progressi, non escludendo le conoscenze già acquisite, possiamo integrarle e valorizzarle, inserendo nel nostro bagaglio culturale altri metodi i cui peculiari elementi possono contribuire a colmare le lacune che la medicina ufficiale lascia inadempienti, riappropriandoci di un nuovo significato da conferire all’esistenza, con nuove dimensioni di valore, spessore e profondità.

Numerosissimi e importanti studi condotti in campo psicologico, medico e psiconeuroendocrinoimmunologico dimostrano la validità e l’efficacia, nel trattamento dei disturbi psicologici, psicosomatici e clinici, di molte discipline, che dovremmo smettere di considerare alternative, potendo invece esse rappresentare un aspetto non convenzionale e complementare a quelle ufficialmente praticate.

Per lo più, il modo di diagnosticare e di curare le malattie nell’ambito delle discipline non convenzionali è sostanzialmente diverso da quello della medicina occidentale. Infatti, per acquisire conoscenza, competenza e abilità in questi campi, non è necessario un percorso formativo simile a quello medico, bensì una formazione innanzitutto personale e spirituale, poi professionale, che si fonda su una diversa rappresentazione del corpo, della malattia, della salute e della cura.

In questa nuova concezione, il corpo non appare separato dalla mente e dallo spirito, quindi non viene scomposto in unità singole e compartimentali, ma ciascuna dimensione, fisica, mentale, spirituale ed energetica occupano la medesima rilevanza, restituendo quella visione olistica che siamo tenuti a preservare.


Qui di seguito presento soltanto alcune delle numerosissime discipline di guarigione naturale oggi disponibili, quelle con cui sono venuta più a contatto in quanto sperimentate personalmente.

4.1 Metodo Simonton

Per lo più siamo connessi, connessi alle forze che creano sia la malattia che la salute, alle convinzioni della nostra società, alle attitudini dei nostri amici, della nostra famiglia e dei nostri dottori, e alle immagini, alle credenze e perfino alle parole stesse che usiamo per percepire l’universo.[12]


Rappresenta uno degli esempi più famosi rivolto a dimostrare a chi è affetto da quella terribile e temibile malattia, quale e’ il cancro, o da altre gravi malattie, come possa essere partecipe al recupero della sua salute; tende inoltre a mostrare a chi non è malato come possa esso stesso essere partecipe nel conservare la propria salute e il proprio benessere.

Simonton insiste nel sottolineare l’espressione essere partecipe per far comprendere il ruolo determinante e vitale che ognuno svolge nel creare il proprio livello di salute. Tutti noi siamo partecipi della nostra salute attraverso le nostre convinzioni, i nostri sentimenti e i nostri atteggiamenti verso la vita, a cominciare da quei gesti quotidiani quali l’alimentazione e l’esercizio fisico.

Esso, riconoscendo il rapporto esistente fra mente e corpo, consapevole del potere di guarigione innato in ciascuno di noi, nonché dell’importanza del rapporto che si stabilisce tra terapeuta e paziente, nel suo percorso prende in considerazione l’essere umano nella sua interezza: fisica, psichica, emotiva e spirituale.

Insegna la vita all’uomo, non tralasciando di farlo avvicinare, paradossalmente, all’idea della morte, introducendolo a una nuova interpretazione di quest’ultima.

Cosicché, conoscendo e acquisendo il decalogo che sostiene il percorso di questo specifico metodo, il paziente diventa consapevole che la guarigione, al di là del suo significato prettamente fisico, lo supera e lo sublima in un più ampio panorama di guarigione dell’anima


Il decalogo del metodo Simonton

1. I nostri sentimenti e le nostre emozioni influenzano in modo determinante la nostra salute, quindi anche il cancro, e complessivamente la nostra vita.

2. Le nostre credenze condizionano i nostri sentimenti, e le nostre emozioni e conseguentemente la nostra salute ( e la nostra vita)

3. Abbiamo il potere di influenzare le nostre credenze, il nostro modo di vedere le cose, i nostri sentimenti e le nostre emozioni;  quindi noi possiamo influenzare notevolmente la nostra salute (e la nostra vita)

4. Possiamo imparare a trasformare le nostre credenze, il nostro modo di vedere le cose e, conseguentemente, i nostri sentimenti e le nostre emozioni

5. I nostri sentimenti e le nostre emozioni sono un potente motore per stimolare il nostro sistema immunitario e altri sistemi di auto-guarigione del corpo

6. Funzioniamo come un Tutto, costituito dal corpo, dallo spirito e dall’anima. Questi tre aspetti devono essere presi in considerazione globalmente nel processo della guarigione,  pur rispettando i bisogni e le caratteristiche del malato, il suo ambiente familiare, sociale e culturale.

7. L’Armonia, che deriva dall’equilibrio tra gli aspetti corporeo, psichico e spirituale, è di fondamentale importanza per la nostra salute. La stessa importanza riveste l’Equilibrio tra l’individuo e le sue relazioni affettive e sociali, la sua cultura, il mondo e l’universo.

8. Possediamo tendenze e attitudini congenite (ereditarie ed istintive) che ci aiutano ad acquisire progressivamente salute e armonia sia sul piano corporeo che mentale, emozionale e spirituale.

9. Queste attitudini istintive possono essere sviluppate e rafforzate in modo significativo grazie a tecniche e metodologie mirate

10. Dallo sviluppo di tali attitudini consegue  il raggiungimento di una più grande armonia e di un miglioramento della qualità della vita che incideranno in modo significativo sulla nostra esistenza, sulla nostra salute e sulla nostra morte.


Ha inizio così un percorso verso la salute che ha lo scopo di toccare tutte le parti del sistema per ristabilire l’equilibrio fisico, mentale ed emotivo, in modo che l’intera persona possa recuperare la salute; esso consta di una serie di interventi e procedimenti, individualmente e variamente programmabili, mediante i quali il soggetto decide di:

- essere partecipe della propria malattia

- gestire il dolore

- accettare la responsabilità della propria salute

- riconoscere i benefici della malattia

- modificare le convinzioni negative

- realizzare  immagini mentali positive

- superare il risentimento

- creare il futuro, ponendosi degli obiettivi

- trovare la propria Guida Interiore

- far fronte al timore della ricaduta e della morte

- mantenere costante l’attività fisica

La famiglia è chiamata a partecipare attivamente attraverso un programma di sostegno a questo processo di trasformazione e rinnovamento.

Al percorso terapeutico del metodo Simonton appartengono anche tecniche di rilassamento e pensiero creativo, quali la meditazione e la visualizzazione, qui di seguito esposte.


4.2 Meditazione e Visualizzazione

Sono fra gli strumenti di guarigione più antichi e più potenti che abbiamo a

disposizione, già utilizzati presso gli antichi greci.

La Meditazione è una tecnica antichissima che nasce da tradizioni religiose, spirituali, filosofiche e psicologiche tra loro inseparabili.

Il termine sanscrito per definirla è Samadhi e anche se per qualche occidentale potrebbe contenere una connotazione esclusivamente religiosa, in realtà non lo è:

essa è innanzitutto l'arte dell'incontro con il nostro vero volto e, attraverso opportuni esercizi, induce un progressivo stato di rilassamento mentale, espande la mente, favorendo la quiete, la stabilità e l'armonia interiore e riduce la paura, la depressione e l'ansia.

La Meditazione, se praticata costantemente, risveglia un livello molto sottile di coscienza che consente di scoprire la vera natura della realtà; essa può essere definita come un addestramento focalizzato sulla presenza mentale, che ha lo scopo di conoscere la natura della mente per liberarci dalla sofferenza generata dall’illusione della presenza di un Sé separato.

Nella Visualizzazione, o uso delle immagini a scopo terapeutico, la mente pensa per rappresentazioni visive e il pensiero viene utilizzato per stabilire un contatto con la nostra realtà soggettiva.

L’uso dell’immaginazione a scopo terapeutico esiste da secoli in molte culture del mondo, in alcuni casi da millenni: nel Tibet, in India, in Africa, fra gli eschimesi e gli amerindi. Anche nel mondo occidentale, l’immaginazione ha costituito una pratica a volte essenziale nel trattamento medico fino alla metà del 1600, quando le scienze naturali e la moderna medicina hanno preso il sopravvento. In tempi più recenti, la tecnica ha ritrovato una sua ragion d’essere soprattutto per merito di alcuni clinici indipendenti, il più importante dei quali era Carl Gustav Jung.

Le tecniche da loro elaborate hanno assunto vari nomi: sogno desto guidato (Robert Desoille), fantasia attiva (Carl Jung), immaginazione affettiva guidata (Hanscard Leuner), psicosintesi (Roberto Assaggioli). Con loro si sono aperte altre strade verso l’uso delle immagini mentali nella cura delle malattie organiche.

Tre semplici passi per verificare l’efficacia e il potenziale creativo di questa tecnica consistono nell’immaginare ad esempio, che la malattia sia curabile, che il trattamento o le cure siano efficaci, che il corpo sia capace di auto-guarigione.


Entrambe, al di là delle loro finalità filosofiche, hanno come risultato pratico quello di indurre un eccezionale stato di rilassamento psico-fisico. Significativi sono gli studi che hanno misurato l’efficacia della meditazione nel ridurre l’ansia indotta da una malattia particolarmente inquietante come il cancro.

Tom Baker (C.C. di Alberta, Canada), ha condotto uno studio su un centinaio di pazienti oncologici, basato su un’ora e mezzo di seduta settimanale di meditazione più esercizi a casa per sette settimane ed ha dimostrato, mediante apposite scale di valutazione, una netta riduzione di ansia, depressione, rabbia, confusione mentale; inoltre queste stesse persone hanno presentato una minore labilità emotiva e minori sintomi cardiopolmonari.

David Spiegel, psichiatra della Stanford University, insegna ai pazienti tecniche di autoipnosi, di visualizzazione e di rilassamento, che consentono una riduzione dello stress, la qual cosa permette anche una maggiore disponibilità a cambiare abitudini, che possono influire sull’andamento della malattia, come il sonno, l’alimentazione e l’attività fisica.

Studi rigorosi ed affidabili – centinaia di testi letterari attendibili – confermano l’azione della psiche sull’organismo: quando si chiudono gli occhi avvengono modificazioni fisiologiche significative a carico di numerosi organi e sistemi, che si possono ricondurre a una netta riduzione del metabolismo.

Infatti, dalla seconda metà del secolo scorso, con moderni strumenti di indagine scientifica, -  l’ECG (Elettrocardiogramma) e l’EEG (Elettroencefalogramma), e più recentemente la RMN (Risonanza magnetica), che consente la visualizzazione delle aree cerebrali coinvolte durante gli esercizi meditativi, e analisi del sangue, per testare i livelli dei più importanti ormoni e neurotrasmettitori –, si sono documentati i cambiamenti fisici che si realizzano durante l’esecuzione di esercizi di meditazione e di visualizzazione.

Le conclusioni di queste indagini sono le seguenti:

- a livello cerebrale, si registra uno stato di rilassamento, con prevalenza di onde

cerebrali di tipo alfa e theta (simili ma non identiche a quelle del sonno profondo)

- diminuzione significativa del consumo di ossigeno

- diminuzione della frequenza respiratoria e cardiaca

- diminuzione della pressione arteriosa

- regolazione della produzione di cortisolo, principale ormone dello stress

- aumento notturno della melatonina, fondamentale ormone del sonno, con funzione chiave nella regolazione dei ritmi biologici dell’organismo

- riduzione della noradrenalina, neurotrasmettitore prodotto sia dalle surrenali che dal cervello sotto stress

- aumento della serotonina, neurotrasmettitore di grande importanza per l’umore (antidepressivo), ma anche regolatore della fame e della sazietà.


Ciò dimostra che sia le funzioni cerebrali che quelle cardiovascolari vengono risparmiate a favore di uno stato di quiete, di rilassamento e  di lucidità mentale.

Dal punto di vista psicologico, la meditazione e la visualizzazione:

- sviluppano la pazienza

- promuovono un atteggiamento non giudicante

- aiutano a vivere bene situazioni incerte e instabili

- stimolano a prendere contatto con se stessi e con la propria coscienza

- accrescono la consapevolezza.

In definitiva durante la meditazione e la visualizzazione il cervello riduce il suo sovraccarico, elimina i file inutili e riorganizza i suoi circuiti.

RESET: Restare Estasiati Senza Esserne Turbati!

Infatti disponiamo, come un computer, di varie periferiche fisiche che ci permettono di comunicare con il mondo.

La differenza tra noi ed il computer sta nel fatto che il computer dispone di un cervello e noi anche di una mente; il computer ha una propria esistenza, noi abbiamo anche una auto-coscienza, o coscienza della nostra esistenza.

La mente è la più misteriosa entità con cui l’uomo abbia mai avuto a che fare, fusione alchemica di conscio e inconscio, di passato e futuro, di visibile e invisibile, di qui e altrove.

L’auto-coscienza è quella facoltà di cui la mente umana dispone per riflettere su se stessa, la possibilità di auto-osservazione.

I pensieri sono il tramite attraverso cui auto-coscienza e mente si scambiano informazioni, le quali sono veicolate, per mezzo delle sensazioni, tra la mente e il corpo: questo movimento genera le emozioni (ex – movēre, muoversi verso l’esterno).


4.3 Agopuntura

Il medico è solo il servo della natura, non il suo padrone. E’ quindi opportuno che la Medicina segua la volontà della Natura.

                                                                                                          Paracelso


Tra tutti i sistemi terapeutici genericamente definiti naturali o non convenzionali,

l'Agopuntura è certamente quella più conosciuta e diffusa nel mondo occidentale, tanto da essere insegnata nelle università di molti paesi europei e praticata correntemente da un gran numero di medici, sia in campo privato che ospedaliero.

Essa costituisce una delle tecniche terapeutiche fondamentali utilizzate dalla medicina cinese e risulta pertanto ispirata agli stessi concetti teorici della filosofia Taoista che ne costituiscono il fondamento (teoria energetico-filosofica): il TAO, principio fondamentale dell’Universo, è l’origine e la fine di tutto ciò che esiste.

Le sue origini sono molto antiche, forse risalgono all'età della pietra: la tradizione ci porta nel regno dei miti facendola risalire alla stessa comparsa dell'uomo sulla terra e la lega alla leggenda di un cacciatore sofferente di sciatica che, colpito casualmente da una freccia, scagliata erroneamente da un compagno, in un punto situato vicino al malleolo esterno (Kun Lun - V60), guarisce dal suo male.   Le prime evidenze sicure dell’uso dell’agopuntura nella pratica medica si ebbero a partire dall’VIII secolo a, C., quando, per la prima volta negli scritti di questo periodo, appare il termine Yi, a indicare il medico e la medicina. In questo ideogramma, che sostituisce quello precedente di Wu, che indicava il mago e lo stregone, sono rappresentate delle “armi appuntite” la cui interpretazione più calzante è quella che le assimila ai sottili aghi da agopuntura.

E’ verosimile che, prima ancora dell'uso di droghe o farmaci, gli sciamani delle varie tribù abbiano curato le malattie con aghi formati da schegge di pietra appuntite, o altri materiali facilmente reperibili, quali schegge d'osso e di bambù (confermato da ritrovamenti archeologici). Dopo la scoperta dei metalli anche gli aghi vennero forgiati, in rame prima e in ferro poi.

Risalgono forse a 2.500 anni a.C. i nove tipi di aghi tradizionali, descritti nel primo capitolo del Nei Jing, primo trattato di medicina cinese, opera, forse, del mitico Imperatore Giallo Huang Di.

La diffusione dell'Agopuntura  al di fuori dei confini cinesi avvenne, probabilmente durante le migrazioni dei Mongoli e molta parte hanno avuto, intorno alla metà del 1800, i missionari della Compagnia del Gesù; ma si deve soprattutto a Soulié de Morant, non medico, ma appassionato sinologo, funzionario dell'ambasciata francese in Cina, la prima grande divulgazione della metodica in Europa, grazie specialmente al grande trattato sull'Agopuntura da lui stesso scritto negli anni cinquanta del secolo scorso.

Se da un lato le evidenze terapeutiche dimostravano l’efficacia dell’agopuntura, il mondo accademico occidentale faceva fatica ad accettarla perché le configurazioni energetico-anatomiche con le quali veniva presentata, apparivano a dir poco immaginifiche e fantasiose, non coincidendo affatto con le conoscenze e con le certezze della fisiologia fino ad allora acquisite.

Ma, nonostante il profondo scetticismo e l’inossidabile ostilità da parte di alcuni a causa proprio delle sue origini soffuse di leggenda e delle sue concezioni filosofiche, finalmente questo problema della mancanza di coincidenza tra il contesto dell’efficacia e il contesto della giustificazione è stato risolto grazie a intensi anni di studi e di ricerche che autorizzano il suo riconoscimento, avendola dotata di una veste moderna, in accordo con i canoni classici della scienza, che rende possibile oggi enunciare una Teoria occidentale-scientifica che, con dati provati e incontrovertibili, dimostra le sue azioni: l'Agopuntura agisce aumentando l'attività e la produzione di endorfine ed encefaline, sostanze endogene morfino-simili, che hanno funzione di modulazione del dolore e agiscono sia a livello centrale che periferico, legandosi specificamente ai recettori oppioidi; esse hanno anche una notevole azione antiansia e antidepressiva, che spiegherebbe il suo notevole effetto rilassante; l’Agopuntura, inoltre, riduce la liberazione di istamina, uno dei mediatori chimici responsabili delle reazioni allergiche, migliora la modulazione del sistema neurovegetativo (simpatico e parasimpatico).

Il trattamento consiste essenzialmente nell'infissione di aghi d'acciaio filiformi in particolari punti epidermici del corpo, corrispondenti ai principali organi interni o a funzioni organiche; tali punti sono situati lungo il percorso dei meridiani, gli invisibili canali energetici che percorrono il corpo sia in superficie che in profondità e in cui scorre il Qi.

La stimolazione di tali punti riarmonizza blocchi, carenze o eccessi energetici, riportando progressivamente l’organismo al suo equilibrio ottimale.

Le sue indicazioni sono molteplici, in particolare  nella terapia del dolore, negli stati di ansia, di stress, nelle malattie di origine psicosomatica, nella medicina preventiva.


Il saggio non cura gli uomini quando essi sono già ammalati, ma fa in modo di prevenire la comparsa delle malattie.



                                                                                              Detto cinese


4.4 Reiki



Per oggi non ti preoccupare

Per oggi non t’inquietare

Onora i genitori, i maestri e gli anziani

Guadagna da vivere onestamente

Mostra gratitudine a tutti gli esseri viventi.


                                                                                              I Principi del Reiki



Dobbiamo a Mikao Usui, monaco cristiano giapponese, professore di teologia all’Università di Kyoto alla fine del secolo scorso, la scoperta di questa antica scienza.

Egli non solo ritrovò le chiavi per interpretarla ma, dopo lunghi anni di esperienza e di peregrinazioni, creò i presupposti per trasmetterla e diffonderla.

Lasciato l’insegnamento universitario, egli viaggiò per molti anni in tutto il Giappone e in tutta l’America, visitando un monastero dopo l’altro; studiò i sutra sanscriti, antichi precetti tibetani che risalgono a 2500 anni or sono, incontrò monaci e abati, senza nessun risultato. Finché, in un convento di monaci zen, a Kyoto, nel “Sutra del loto” trovò le informazioni sulle capacità terapeutiche che cercava: si trattava di simboli sacri che egli però non era ancora in grado di decifrare e di comprendere. Passò molti anni a studiare, conversare, digiunare e meditare al fine di trovare risposte alle sue domande… fino a che, una notte, ebbe l’illuminazione e con essa la comprensione dei simboli.

Da quel momento, consapevole di essere divenuto uno strumento di guarigione attraverso l’energia universale ricevuta, che lui chiamò REIKI, dedicò tutta la sua vita a trasmettere e diffondere la pratica guaritrice.

Il metodo è fondato sul concetto che l'uomo è indissolubilmente collegato con l'universo e che l'energia che tiene in vita il macrocosmo è in continua connessione con la forza vitale di ciascun individuo.

L'uomo non è solo un corpo fisico, ma è soprattutto "energia" e comunica con gli altri uomini e con il mondo intero "energeticamente", con la gestualità, le emozioni, le parole, i pensieri, cioè con l'espressione vibratoria dei corpi sottili o corpi energetici – eterico, emotivo, mentale, astrale, ecc... –, che con le loro diverse frequenze vibratorie costituiscono il campo elettromagnetico attorno al corpo fisico.

L'energia scorre lungo dei canali o nadi, di cui i principali, Ida e Pingala, sono posti lungo la spina dorsale, e si concentra nei sette chakra (ruote o dischi), veri e propri fulcri posti uno sopra l'altro in una colonna energetica che va dal coccige alla sommità della testa.

Ogni chakra è collegato a un gruppo di organi, a un plesso nervoso, a una ghiandola endocrina e a particolari emozioni o forme-pensiero, è caratterizzato da un elemento (terra, acqua, fuoco, aria, etere) da un colore (colori dell'iride) e da un

suono (le sette note del pentagramma).

Dal punto di vista psichico, i chakra corrispondono alle aree più importanti della nostra esistenza: sopravvivenza, sessualità, potere personale, capacità di dare e ricevere amore, comunicazione, immaginazione, spiritualità.

Reiki è una parola giapponese che sta ad indicare la connessione tra REI, l'energia vitale universale e KI l'espressione individuale di tale energia.

Attraverso tale connessione si attiva un processo globale di guarigione naturale, in cui la riarmonizzazione rimanda a un significato più profondo che va al di là della risoluzione dei meri problemi fisici o emotivi, riconquistando il senso più autentico della propria esistenza, imparando ad accettare e interpretare il significato di ogni accadimento.

Al pari delle altre soluzioni olistiche, il Reiki parte dal presupposto che la Realtà è una e una sola, al di là delle diverse manifestazioni apparenti.

Quando si pratica il Reiki si diventa canali naturali che accolgono il flusso energetico del Cosmo e lo trasmettono a chi riceve il trattamento.

Esistono vari tipi di trattamenti, distinti tra loro per livelli e modalità di esecuzione, ma tutti hanno in comune il fatto che chi effettua il trattamento utilizza le proprie mani come strumento di trasmissione dell’energia.

Il Reiki è un metodo semplice, si apprende facilmente, non necessita di alcuna qualifica professionale, non è intriso di dogmi, atti di fede né di regole ferree e assolute. Ciò che lo distingue dalle altre pratiche è la necessità di rituali di iniziazione, o meglio di attivazione, attraverso i quali i sette Chakra principali vengono liberati dalle ostruzioni eventualmente presenti.

Da questo momento in poi si dispone della facoltà di divenire canali per la trasmissione dell’energia universale, fonte inesauribile, alla quale possiamo continuamente attingere, senza per questo essere depauperati della nostra energia.

A trarre beneficio dai trattamenti è sia chi vi si sottopone sia chi li effettua: i corredi energetici di entrambi ne risultano riarmonizzati.

Non vi sono figure di maestri o guru a cui fare riferimento, da seguire o venerare, tranne il nostro cuore. La stessa storia delle sue origini è da molti considerata più sotto il profilo strettamente simbolico che oggettivo, poiché le informazioni sul suo ipotetico scopritore sono abbastanza nebulose: in giapponese, infatti, con il nome “Ussui” viene designata la figura del Monaco Itinerante, che vaga con la lampada alla ricerca della verità… una specie di Diogene che, in pieno giorno e con una lampada accesa, cercava l’Uomo.

Nello stato di REI – KI, cioè di connessione, l'energia fluisce liberamente attraverso i canali energetici e i chakra, avviando una profonda guarigione a livello fisico, mentale e spirituale. Esso utilizza inoltre alcuni simboli che, come ogni forma – pensiero, sono diventati veri e propri archetipi, grazie al fatto di essere state ripetuti consapevolmente da parte di un gran numero di persone, da molto tempo.

Il ReiKi può essere considerato un metodo terapeutico che completa e sostiene altre tecniche di cura, medica o psicologica, complementare o tradizionale. Esso infatti attiva le capacità di guarigione del paziente, rinforza il sistema immunitario, riequilibra il sistema endocrino, scioglie blocchi e tensioni.

Da un punto di vista psichico, sviluppa la forza e la determinazione, sostiene nel processo di crescita personale e promuove la reintegrazione e il riallineamento del complesso corpo-mente-spirito.

Le soluzioni fino a qui proposte e solo sommariamente descritte non hanno la pretesa di essere considerate la panacea di ogni male: esse rappresentano solo alcuni degli strumenti che l’uomo contemporaneo ha a disposizione per affrontare un’esistenza sempre più lontana dai ritmi di vita naturale: aumentano, così, le possibilità di mantenere un contatto con la propria e più intima essenza, nonché di migliorare le proprie relazioni con gli altri e con l’ambiente esterno.



CONCLUSIONI

Molti secoli fa l’uomo conobbe il fuoco, imparò a muoversi in piccoli gruppi da un territorio all’altro in cerca di migliori condizioni di vita, nonché a seguire gli sciamani nel mondo misterioso degli spiriti.

Oggi utilizziamo l’energia atomica, abbiamo imparato a esplorare nuovi pianeti alla ricerca di mondi paralleli e seguiamo maestri e guru di varie estrazioni e tradizioni, per scoprire nuove dimensioni della mente e dello spirito.

Negli ultimi trecento anni questo viaggio attraverso la conoscenza ha proceduto con passi accelerati e l’Umanità, nei momenti dei grandi risvegli, occorsi nei secoli, ha ampliato a un ritmo sempre più incalzante le sue comprensioni sul mondo, sul sé e sulla sfera del Trascendente, acquisendo una visione sempre più chiara dell’Universo che si evolve in relazione al Divino.

A ogni svolta storica, la sua consapevolezza si è ampliata, sono aumentate le sue possibilità di sviluppo, così come sono cresciute per quantità e qualità le sue pratiche trasformatrici.

L’anelito dell’uomo a una vita più ampia e completa e la sua capacità di raggiungerla sono la parte emergente della storia dell’evoluzione.

Ma, nonostante tutto ciò, e malgrado le enormi risorse della medicina moderna, l’uomo non è sano.

Si ha piuttosto la tendenza a considerare la vita come il viaggio di un povero indifeso pellegrino, che incomincia all’età di venti o trent’anni a ingerire sostanze stimolanti, continua intorno ai quaranta o cinquanta con i tranquillanti, si trascina penosamente verso i sessanta con gli analgesici e arriva istupidito ai settanta in preda a una incurabile demenza senile.

La perdita di quei principi fondamentali che contribuiscono al mantenimento dell’equilibrio e dell’armonia ci ha impedito di comprendere adeguatamente il significato di “salute” e ci ha fatto dimenticare le origini divine dell’uomo.

La salute è molto più che l’assenza di malattie; significa vivere in un modo che mira a promuovere sentimenti di comunione e solidarietà, creando così una sensazione di felicità spirituale che effettivamente aiuta a prevenire le malattie.




Vedere il mondo in un granello di sabbia

E il cielo in un fiore di campo,

Tenere l’infinito nel palmo della tua mano,

E l’eternità in un’ora.



William Blake





BIBLIOGRAFIA


1.      Bennett Goleman Tara

Alchimia emotiva. Come la mente può curare il cuore, Rizzoli, Milano 2001

2.      Biondi Massimo

La psicosomatica nella pratica clinica, Il Pensiero Scientifico, Roma 1992

3.      Bohm David

Wholeness and the Implicate Order, Routledge&Kegan Paul, London 1980

4.      Bottaccioli Francesco

Psiconeuroimmunologia,  RED, Novara 2003

Mente inquieta, Tecniche nuove, Milano 2000

Il sistema immunitario, la bilancia della vita, Tecniche nuove, Milano 2002

5.      Bourbeau Lise

Ascolta il tuo corpo. Il tuo migliore amico sulla terra, Amrita, Torino, 1999

6.      Brofman Martin

Guarire con il sistema corpo-specchio. Agire sulla coscienza per la salute del corpo,  TEA, Milano 1998

7.      Brown Mick

Il turista spirituale, Tipografia Varese, 2001

8.      Capra Fritjov

Il Tao della fisica, Adelphi, Milano 1989

9.      Carosella Antonia, Bottaccioli Francesco

Meditazione, psiche e cervello, Tecniche nuove, Milano 2003

10.  Consigli Paolo

Agopuntura, Fabbri Editori, Milano 2003

11.  Dahlke Rüdiger

Malattia linguaggio dell’anima, ed. Mediterranee, Roma 1992

12.  Dalai Lama

Il sonno, il sogno, la morte, Neri Pozza, Milano 2000

13.  Damasio R. Antonio

L’errore di Cartesio, Adelphi, Milano 1995

14.  Dyer W. Wayne

Credere per vedere, Corbaccio, Milano 2006

15.  Di Concetto G., Sotte L., Pippa L., Muccioli M.

Trattato di Agopuntura e di Medicina cinese, UTET, Torino 1992

16.  Edelman M. Gerald

Più grande del cielo, Einaudi, Torino 2004

17.  Edelman M. Gerald, G. Tononi

Un universo di coscienza. Come la materia diventa immaginazione,

Einaudi, Torino 2000

18.  Epstein Gerald

Guarire con la visualizzazione, Sperling Paperback, Milano 2001

19.  Flanagan Sabine

Ildegarda di Bingen. Vita di una profetessa, Le Lettere, Firenze 1991

20.  Fulder Stephen

Il TAO della medicina, MEB, Torino 1996

21.  Goleman Daniel

La forza della meditazione, Rizzoli, Milano 1997

Le emozioni che fanno guarire, Mondadori, Milano 1998

22.  Grof Stanislav

The adventure of self-discovery. Dimensions of consciousness

and new perspectives in psychotherapy and inner exploration, Paperback, USA 1988

23.  Gros Patrice

Il reiki dello spirito, Armenia, Milano 1997

24.  Hilswicht Judith

Reiki, RED, Como1996

25.  Hirai Tomio

Curarsi con la Meditazione Zen, RED, Como 2007

26.  King Serge Kahili,

La padronanza del Sè nascosto, Punto d'incontro, Milano 2002

A scuola dallo sciamano, Punto d'incontro, Milano 1998

27.  Kopp Sheldon Bernard

Se incontri il Buddha per la strada uccidilo. Il pellegrinaggio del paziente nella psicoterapia, Astrolabio, Roma 1975

28.  LeDoux James

Il cervello emotivo, Baldini e Castaldi, Milano 1996

Il sé sinaptico, Cortina, Milano 2002

29.  Mandelbrot Benoit B.  

The Fractal Geometry Of Nature, Freeman, San Francisco 1982

30.  Marchino Luciano, Mizrahil Monique

Counseling. Trasformare i problemi in soluzioni, Frassinelli, Milano 2007

31.  Merati Luisa, Mantellini Barbara

La medicina complementare nella pratica clinica, Masson, Milano 2005

32.  Pagliaro M. Gioacchino

Mente, meditazione e benessere. Medicina tibetana e psicologia clinica, Tecniche nuove, Milano 2004

33.  Pagliaro G., Martino E.

Il Tao della salute, Domeneghini, Padova 2003

34.  Pancheri Paolo

Stress, emozioni, malattia, Mondadori, Milano 1993

35.  Pernaoud Régine

Storia e visioni di Sant’Ildegarda, Piemme, Casale Monferrato 1996

36.  Pert Candace B.

Molecole di emozioni, Corbaccio, Milano 2005

37.  Rainville Claudia

Metamedicina. Ogni sintomo è un messaggio. La guarigione a portata di mano, Amrita, Torino 2000.

38.  Redfield James, Murphy Michael, Timbers Sylvia

Il lato spirituale della vita, Corbaccio, Milano 2002

39.  Rogers Carl

La terapia centrata sul cliente: teoria e ricerca, Martinelli, Firenze 1970

40.  Russell Peter

Il risveglio della mente globale. Dalla società dell’informazione all’era della coscienza, Urra, Milano 2000

41.  Silla Federico

L’Agopuntura, Xenia, Milano 2003

42.  Simonton Carl Oscar., Henson R.

L’avventura della guarigione, Macro, Savona 2000

43.  Simonton Carl Oscar , Simonton Stéphanie, Creighton James L.

Ritorno alla salute, Armenia, Milano 2003

44.  Strehlow Wighard

La medicina di Santa Ildegarda, Mediterranee, Roma 2002

45.  Talbot Michael

Tutto è uno. L’ipotesi della scienza olografica, Urra, Milano 1997

46.  Tarozzi Giancarlo

Reiki energia e guarigione, TEA, Milano 2003



NOTE

[1] L. Marchino, M. Mizrahil Counseling. Trasformare i problemi in soluzioni, Frassinelli, 2007,
  pag. 5.
[2] B. Marley, Redemption song, 1980.
[3] Carl Rogers, Libertà nell’apprendimento, Firenze, Giunti-Barbera, 1973.

[4] Mick Brown, Il turista spirituale, Tipografia Varese, 2001.
[5] Carl Rogers, La terapia centrata sul cliente: teoria e ricerca, Firenze, G. Martinelli, 1970,
  pag.68.
[6] Martin Brofman, Guarire con il sistema corpo specchio, Milano, Tea, 1998.
[7] Pert Candace, Molecole di emozioni, Corbaccio, Milano 2002
[8] Régine Pernoud, Storie e visioni di Sant’Ildegarda,Casale Monferrato, Piemme, 1996.
[9] P. Pancheri, Stress, emozioni, malattia. Milano, Mondadori.
[10]D. Bohm, Wholeness and the Implicate Order, Routledge&Kegan Paul, Londra 1980.
[11] Pagliaro G., Martino E. Il Tao della salute, Domeneghini, Padova 2003.
[12]M. Talbot, Tutto è uno. L’ipotesi della scienza olografica, Urrà, Milano 1997.








INDICE


INTRODUZIONE

1. IL COUNSELOR
1.1 Dalla psicoterapia al counseling
1.2 La formazione del counselor olistico
2. LA RELAZIONE D’AIUTO
2.1 Verso un ascolto a misura d’uomo
2.2 Differenze tra percorso terapeutico e percorso di crescita:restituire il soggetto a sé stesso

3. LA VISIONE OLISTICA
3.1 Il concetto tradizionale di malattia in rapporto a quello di salute olistica
3.2 Tutto è Uno

4. SOLUZIONI OLISTICHE OGGI
4.1 Metodo Simonton
4.2 Meditazione e Visualizzazione
4.3 Agopuntura
4.4 Reiki



CONCLUSIONI

BIBLIOGRAFIA

NOTE